Recensioni
Recensione di una importante rivista della Massoneria, nel frattempo estinta, al libro di Paolo Pasqualucci sulla metafisica dell'Uno - primavera del 1997.
Paolo Pasqualucci, Introduzione alla metafisica
dell’Uno, Antonio Pellicani Ed., Roma, 1996, pp. 151.
Recensione apparsa su ‘Massoneria Oggi’.
Rivista del Grande Oriente d’Italia, Anno IV, n. 2, Marzo-Aprile, 1997, pp.
33-35, a firma Guglielmo Adilardi.
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Il
saggio di Paolo Pasqualucci, docente di Filosofia del Diritto alla Facoltà di
Giurisprudenza di Perugia, ci fa rimpiangere le facoltà di Teologia dello Stato
pre-unitario, ove filosofia e teologia erano le materie formative dei futuri
teologi e dove molto vivo era lo studio della trascendenza e, per ciò stesso,
sosteniamo noi, dell’esoterismo. Non è
un caso che si sia sempre asserita l’estrema pericolosità della teologia se
dietro tale disciplina non vi fosse stato uno studio altrettanto serio della
filosofia, come si veniva praticando in tale antichi atenei. Il testo dell’Autore in questo è veramente
perfetto, unendo in sé le due materie con padronanza encomiabile.
Lo sforzo a cui tende Pasqualucci è quello di
definire il Dio dei cattolici nella sua purezza più totale, senza cntaminazioni
neoplatoniche o ebraiche o di altro genere.
Il tentativo già di per sé difficile con ogni umano mezzo può peraltro
dirsi riuscito. La trascendenza è un
problema in rapporto al mondo fenomenologico; ulteriore difficoltà risiede nel
tentare di definirla cancellando quattromila e più anni di esperienza
teologali, più o meno consolidate, di dare i giusti confini all’Uno. Quindi una
ridefinizione dell’Essere in rapporto al Tutto, scartando ciò che può aver
contaminato l’ortodossia cattolica, siano stati i filosofi (Platone, Euclide,
Aristotele, Hume, Spinoza, ecc.) o i teologi a loro volta contaminati
(Sant’Agostino, Giordano Bruno ecc.).
Pasqualucci
procede dalle origini con una metodoliga che per rigore definirei cartesiana;
anzi, per non far torto, vorrei dire che il suo saggio è un’equazione analitica
dell’ Essere di una perfezione totale, non potendo ravvisare nel suo sistema
dimostrativo errori d’impostazione o soluzioni affrettate. Il fatto è che, come tutte le equazioni, il
loro punto debole risiede nelle incognite di partenza; ove esse siano troppo
numerose, la soluzione, pur non essendo inficiata da errore, rimane pur
tuttavia indeterminata. Eppure l’uomo
nel definire l’Essere imponderabile si è spesso servito della propria limitata
razionalità, riuscendo così a creare dei sistemi logici in sé perfetti che
hanno l’unico difetto di non dare alcuna certezza alla verità così
costruita. Inoltre, più il sistema è
ferreo e dimostrabile matematicamente e più avvertiamo la distanza “siderale”
con l’Assoluto. Allora molto meglio,
nello spiegare l’Uno e il Tutto, la tradizione cabalistica che, rifacendosi
all’Antico Testamento, indicava in un atto di “emanazione” dell’Ein-Soph e non
di “creazione” la formazione della realtà fenomenica: un atto di definizione del sé e definizione
del mondo delle Sephirot che continua perennemente e che, se da una parte è più
immanentistica, panteista, come concezione ha il pregio della poesia visiva,
che indubbiamente avvicina maggiormente l’uomo a Dio.
Nel
suo trattato sulla Reintegrazione, Martinès de Pasqually scriveva: “Dio emana degli Esseri spirituali, a Sua
gloria, nella sua divina immensità. Ci
si domanderà chi fossero questi primi esseri prima della loro emanazione divina,
s’essi esistevano o non esistevano. Essi
esistevano nell’immensità, nel seno della Divinità¸ma senza distinzione di
azione, di pensiero e di intendimento;
essi non potevano né agire né sentire se non per mezzo della sola
volontà dell’Essere superiore che li conteneva e nel quale ogni cosa era muta… È
per mezzo di questa moltitudine infinita di emanazioni di esseri spirituali che
gli compete il nome di Creatore ed alla sua opera quello di creazione divina,
spirituale animale, spirituale temporale”.
Questo Dio di Martinès come Ein Soph ha e contiene in sé in potenza
ogni essere emanato. Ein-Soph è
un’essenza infinita, libera, identica a se stessa, unita a sé. Dio è quindi l’essere infinito che non deve
considerarsi come un insieme di esseri, né come la somma dei suoi propri
attributi. Prima della creazione Dio era
senza forma, senza tempo, non assomigliava a niente; e in tale stato nessuna
intelligenza lo può comprendere. Il prima
della emanazione del mondo è atto libero per eccellenza, assolutamente gratuito
ed arbitrario; atto di libertà e liberalità allo stesso tempo, concentrato
nella propria affermazione e prodigalmente espansivo. Vi è un atto che precede ancora più
originario dell’atto che è primo in assoluto, quello con cui Dio ha originato
se stesso. È vero che un testo rabbinico
vieta ogni indagine al riguardo: “Non
hai il diritto di indagare se non dal giorno in cui il mondo è stato creato in
poi”. La prima parola della Torah è beresit,
in principio, e la prima lettera è beth, che è chiusa a destra, cioè
dalla parte in cui in ebraico si comincia a leggere, mentre è aperta a
sinistra, direzione verso la quale prosegue la lettura. Così deve procedere l’indagine, non prima ma
dopo la creazione. Tuttavia lo stesso
testo racconta la protesta della lettera aleph per non esser stata
scelta ad iniziare il racconto della creazione pur essendo la prima lettera
dell’alfabeto. E la risposta di Dio fu:
“Quando andrò a donare la legge sul Sinai comincerò proprio con te”; infatti è
scritto: “Io sono il Signore Dio tuo”,
dove la parola “Io”, anochè, ha l’iniziale aleph. Si può ritenere quindi che la tradizione
rabbinica rinvii ad un atto precedente la creazione, quell’atto in cui Dio
origina se stesso, in cui Egli dice “Io”.
La prima manifestazione di Dio è l’avvento stesso della lbiertà
originaria con cui afferma se stesso.
Ma
questa è un’altra tesi, non quella dell’Autore.
Assurdamente tutte le enunciazioni religiose contengono contraddizioni
logiche e asserzioni impossibili per principio:
anzi, proprio questo costituisce l’essenza delle asserzioni
religiose. Tertulliano ha ben ammesso (De
carne Christi, II, 5): “E morto il
Figlio di Dio, ciò che è certo perché è impossibile”. Stranamente il paradosso appartiene ai beni
spirituali più preziosi; l’univocità invece è segno di debolezza. Per questa ragione una religione impoverisce
nel suo intimo quando perde o diminuisce i suoi paradossi. Se invece li aumenta diventa più ricca,
poiché solo il paradosso è capace di abbracciare, anche se soltanto approssimativamente,
la pienezza della vita; mentre ciò che è univoco, che non ha contraddizioni, è
unilaterale, e quindi inadatto ad esprimere l’ineffabile. In questo il catechismo di Pio IX, nel quale
“Dio è l’essere perfettissimo creatore del cielo e della terra e di tutte le
cose…”, appare ancora il massimo del paradosso e, per questo, assai più vicino
alla verità. Ma questa non è né
filosofia né teologia né la tesi di Pasqualucci che tende a tener fuori dalla
sua definizione dell’Uno il panteismo, l’immanentismo, in definitiva il
concetto materialista unito al concetto di Tutto, e senza troppo sbandierarlo,
in una parola, il “male”.
Questo
in definitiva è il dilemma ancora irrisolto:
in che rapporto è l’Uno con l’altra parte oscura dell’esistenza? Mentre la tradizione ebraica indica in Dio
“l’origine del male”, anche se l’uomo ne è il vero autore che ha la
responsabilità di ridestarlo (L. Pareyson, Filosofia della libertà), la
tradizione cattolica, al contrario, ha sempre cercato di allontanare dalla “emanazione”
divina il maligno, limitando in tal modo l’infinitezza dell’Essere e creando a
tratti una dualità fin dall’inizio della creazione. Non a caso anche il saggio di Pasqualucci
finisce con un riferimento a Matteo (25, 31-46), circa la divisione in eletti e
reprobi, “la cui origine non è in terra, né nel pensiero stesso, ma in cielo,
nella volontà dell’Essere perfettissimo, la Monotriade che vive e regna nei
secoli dei secoli”.
Il
mondo della metafisica è assai più complesso ed il testo ne fornisce un chiaro
esempio – come scrive il prefattore Antimo Negri - : “ma perché oggi siamo
teoreticamente ‘malati’? Perché abbiamo
perso contatto con l’’Uno’, perché obliamo l’’Essere’? perché abbiamo fatto ‘morire’ Dio? E qualche risposta forte a queste domande dal
libro di Pasqualucci vien data. Conviene
ascoltarla”.
Guglielmo Adilardi
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