P. Pasqualucci : Ricordo di S. E. Mons. Marcel Lefebvre.
PAOLO PASQUALUCCI
RICORDO DI
S.E. MONS. MARCEL LEFEBVRE.[1]
Che cosa abbia rappresentato e rappresenti la lunga, tenace
ed inflessibile battaglia condotta da Mons. Marcel Lefebvre in difesa del
sacerdozio, della dottrina e della S. Messa di sempre, per i cattolici rimasti
fedeli all’insegnamento tradizionale della Chiesa, che non possono accettare le
“riforme” neo-moderniste introdotte con il Concilio ecumenico Vaticano II, cercheremo
di ricordarlo ai nostri lettori attraverso le sue stesse parole, rievocando le
quali, avremo modo di soffermarci anche sull’illegittima soppressione della Fraternità Sacerdotale S. Pio X, da lui
fondata, avvenuta proprio cinquant’anni fa.
Fedeltà
costante di Monsignor Lefebvre alla Chiesa e ai suoi capi
Il giorno 7 aprile
del 1980, Monsignor Lefebvre tenne un’omelia in italiano nella Chiesa di S.
Simeone Piccolo, a Venezia. Con la
franchezza , la linearità e la chiarezza che ne caratterizzavano il modo di
esprimersi, egli espose ai fedeli il senso complessivo della sua posizione e
della “Crociata” alla quale nello stesso tempo li chiamava.
“Forse alcuni di voi hanno dentro di loro dei dubbi. Possono chiedersi perché Mons. Lefebvre è
venuto qui, a Venezia, senza essere stato invitato dal cardinale Cé. La mia presenza crea una situazione che,
nella Chiesa, non è normale […] Mai, mai
vorrei fare qualche cosa di contrario alla Chiesa! Tutta la mia vita è stata al suo
servizio: nei 50 anni di sacerdozio, di cui
33 come vescovo, non ho fatto altro che servire la Chiesa come missionario,
come vescovo in Francia, come superiore generale della Congregazione dello
Spirito Santo e come vescovo missionario […]
Dieci anni fa ho fondato quest’opera – La Fraternità Sacerdotale S. Pio
X – con l’intento di voler sempre servire la Chiesa. Perché, dunque, il cardinale Cé, Patriarca di
Venezia, non è contento della mia venuta e non ne capisce il motivo? Che posso dirvi? Evidentemente non è contento che continui
l’opera svolta sin dal giorno della mia consacrazione sacerdotale. Non ho mai
cambiato in niente, sia quando ho istituito nuovi seminari in Africa, sia
quando ho visitato come delegato apostolico di S.S. Pio XII le 64 diocesi
dell’Africa francese nel corso di undici anni.
Ho visitato tutti i seminari, assegnando ai vescovi
diocesani anche le norme per i nuovi che venivano aperti. Non ho mai cambiato. Quello che la Chiesa ha detto nei concili di
Trento e Vaticano I, non l’ho mai cambiato.
Allora, chi ha cambiato? Io o il cardinale Cé? Non lo so, ma penso che
considerando come vanno le cose, cioè i frutti del cambiamento avvenuto nella
Chiesa a partire dal concilio Vaticano II, lo possiamo constatare coi nostri
occhi di cattolici.
Potete vederlo. Come
vanno oggi, le cose nella Chiesa? Chiedetelo a SE Mons. Pintonello, ex ordinario
militare, che ha fatto un dettagliato rapporto sulle condizioni attuali dei
seminari italiani: una catastrofe! Una vera catastrofe. Quanti seminari venduti o chiusi! Il
seminario di Torino, 300 posti, è vuoto. E quanti altri ne vedete chiusi nelle
vostre diocesi? Allora, sicuramente,
qualcosa nella Chiesa non va perché se non vi sono più seminari, in futuro non
ci saranno più sacerdoti, non ci sarà più Sacrificio della Messa. Che ne sarà della Chiesa? Tutto ciò è impossibile. Hanno cambiato, sì, hanno cambiato, ma
perché?”
La
crisi nella Chiesa, provocata dal
Concilio
“L’hanno fatto – continua
l’omelia – certamente con l’idea di salvare la Chiesa, di fare qualche
cosa di nuovo. Prima del Concilio c’era
veramente una diminuzione di fervore e, allora, hanno pensato che, cambiando,
forse la Chiesa sarebbe diventata più viva.
Ma non si può cambiare ciò che Gesù Cristo ha istituito […] Dicono, anche, che la Chiesa deve cambiare,
come cambia l’uomo moderno; dato che gli uomini hanno un altro modo di vita,
anche la Chiesa deve avere un’altra dottrina, una nuova Messa, nuovi
sacramenti, un nuovo catechismo, nuovi seminari…e così tutto è andato in
rovina, tutto è stato rovinato! […] Da
dove viene il catechismo olandese? Non certo da quello cattolico, benché sia
approvato da cardinali e da vescovi.
Pure il catechismo francese e italiano (che conosco), contengono
errori: non è più la vera dottrina
cattolica come è sempre stata
insegnata. Si tratta di una gravissima
situazione in atto.
In tutto il mondo – e posso dirlo perché ho viaggiato in
tutto il mondo – ho visto gruppi di cattolici come i vostri chiedersi: “Cosa
sta succedendo nella Chiesa?”. Non si sa
più com’è la Chiesa cattolica oggi. Le
cerimonie, il culto mezzo protestante e mezzo cattolico, sono un teatro; non è
più un mistero, il mistero del Sacrificio della Messa, grande mistero, mistero
sublime e celeste. Non si sente più la
soprannaturalità della Messa e, chi vi assiste, prova un senso di vuoto e non
sa più se ha partecipato ad una cerimonia cattolica o ad una cerimonia profana […] Per il bene della Chiesa dobbiamo resistere,
senza essere contro chi detiene l’autorità. Mai.
Ho sempre avuto molto rispetto per il Santo Padre, per i
vescovi e per i cardinali; non sono
capace di pronunciare parole indegne nei
confronti del vostro cardinale Cé, ma ciò non mi impedisce di affermare la
dottrina cattolica perché voglio rimanere cattolico. Quando venni battezzato, il sacerdote domandò
ai miei padrini: “Cosa chiede questo bambino alla Chiesa?”. Risposero: “La fede. Domanda alla Chiesa la
fede”. Ed io, ancora oggi, chiedo alla
Chiesa la fede e fino alla mia morte domanderò alla Chiesa la fede, la fede
cattolica”.[2]
La
riforma liturgica ha oscurato il significato fondamentale della S. Messa
Il mantenimento della S. Messa di rito romano antico,
impropriamente detta tridentina, il cui
canone risale ai tempi apostolici, ha giustamente rappresentato un autentico
cavallo di battaglia di Monsignor Lefebvre, che non ha mai celebrato la messa del Novus Ordo, unitamente (bisogna
ricordarlo) a SE Mons. De Castro Mayer, il vescovo brasiliano che lo ha sempre
coraggiosamente affiancato, con la sua congregazione, nella dura battaglia in difesa del Deposito
della fede. I due vescovi furono gli unici,
tra le centinaia che in Concilio avevano lottato contro la maggioranza
progressista, a continuare nella lotta dopo la fine della celebre assise.
“La Messa è un sacrificio, il Sacrificio della Croce e,
come dice il concilio di Trento, è lo stesso sacrificio del Calvario; con la
sola differenza che uno è cruento e l’altro no, ma tutto è uguale: lo stesso sacerdote, Gesù Cristo, e la stessa
vittima, Gesù Cristo. Se veramente la
vittima è Gesù Cristo-Dio, nostro Redentore, che ha versato tutto il suo sangue
per le nostre anime, è impossibile prenderla tra le mani come un pezzo di pane
qualunque”.[3]
Il significato e l’efficacia salvifica della S. Messa vanno
perduti, se ci si allontana da quel rito, consacrato da una tradizione quasi
bimillenaria, che ne garantisce la natura di sacrificio propiziatorio ed
espiatorio, grazie al quale otteniamo divina misericordia per i nostri peccati
e le grazie delle quali abbiamo bisogno.
Nell’omelia
pronunziata a Parigi in occasione del suo Giubileo sacedotale, il 23 settembre
1979, aveva detto. “Certamente
conoscevo, per gli studi fatti, questo grande mistero della nostra fede, ma non
ne avevo compreso tutto il valore, l’efficacia e la profondità. Ciò lo vissi giorno per giorno, anno per
anno, in Africa e particolarmente nel Gabon dove trascorsi 13 anni della mia
vita missionaria, prima nel seminario, poi nella savana, in mezzo agli
africani, tra gli indigeni […] Quelle
anime pagane, trasformate dalla grazia del battesimo, dall’assistenza alla
Messa e dalla santa Eucaristia, comprendevano il mistero del Sacrificio della
Croce e s’univano a Nostro Signore Gesù Cristo;
nella sofferenza della sua Croce, offrivano i loro sacrifici e i loro
patimenti con Nostro Signore Gesù Cristo, vivendo cristianamente […] Ho potuto vedere villaggi di pagani divenuti
cristiani trasformarsi non solo spiritualmente e sovrannaturalmente, ma anche
fisicamente, socialmente, economicamente, politicamente; trasformarsi perché
quelle persone, da pagane che erano, diventavano coscienti della necessità di
compiere il loro dovere malgrado le prove e i sacrifici, di mantenere i loro
impegni e particolarmente gli obblighi del matrimonio. Allora il villaggio si
trasformava poco alla volta sotto l’influenza della grazia e del santo
Sacrificio della Messa; e tutti quei villaggi volevano avere la propria
cappella e la visita del Padre. La
visita del missionario! Come era attesa
con impazienza per poter assistere alla santa Messa, potersi confessare e
comunicare…Delle anime si consacravano a Dio; dei religiosi, delle religiose,
dei sacerdoti si offrivano e si consacravano a Lui. Ecco i frutti della santa Messa.
La
nozione di sacrificio
Perché tutto questo?
Bisogna, infine, che studiamo un po’ i motivi profondi di questa
trasformazione: è il Sacrificio. La nozione di sacrificio è una nozione
profondamente cattolica. La nostra vita
non può fare a meno del sacrificio da quando Nostro Signore Gesù Cristo, Dio
stesso, ha voluto prendere un corpo come il nostro e dirci “Seguitemi.
Prendete la vostra croce e seguitemi se volete essere salvati”, e ci ha
dato l’esempio della sua morte in croce ed ha sparso il suo sangue. Oseremmo noi, sue povere creature, peccatori
che siamo, non seguire Nostro Signore sulla via del suo sacrificio e della sua
croce?
Questo è tutto il
mistero della civiltà cristiana, della civiltà cattolica: la comprensione del sacrificio nella propria
vita, nella vita quotidiana, e l’intelligenza della sofferenza cristiana;
non considerare più la sofferenza come un male, come un dolore insopportabile,
ma condividere le proprie pene [spirituali] e malattie con le sofferenze di
Nostro Signore Gesù Cristo, guardando la Croce, assistendo alla santa Messa che
è la continuazione della passione di Nostro Signore sul Calvario”.[4]
Non sono vere queste
parole? Non esprimono il significato
autentico della S. Messa e della visione cristiana dell’esistenza? E come mai, per esser sicuri di ritrovarli,
questi significati, dobbiamo rileggere le omelie pronunciate venticinque anni
fa [nel 1979, oggi 44] da Mons. Lefebvre? Perché la gerarchia cattolica, oggi sotto
l’influenza delle ideologie profane, parla molto più dei “diritti” (i “diritti
umani”, come vengono chiamati) che del sacrificio,
della croce che, durante la nostra
vita terrena, se vogliamo salvarci, dobbiamo portare ed esser sempre pronti a
portare, sull’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo, unico nostro vero modello. E tanto è refrattaria la Chiesa cosiddetta
“conciliare” all’idea del sacrificio e della croce, tanto è imbevuta dell’ideologia
profana dei “diritti umani” e dell’idea che grazie ad essi e al “dialogo” su di
essi fondato con tutte le religioni del globo, si debba “costruire un mondo
migliore”, una sorta di democrazia universale; tanto lo è, da aver provocato di fatto il mutamento del significato della
S. Messa, intesa ora dai più – neanche fossimo ai Misteri di Eleusi - come una
festa nella quale si celebra collettivamente la Risurrezione del Dio che
incarnandosi ha già salvato tutto il mondo!
La
ferma protesta di Monsignor Lefebvre contro
l’illegittima soppressione del Seminario di Écône
Nell’omelia di Venezia, Monsignore così riassumeva la
vicenda, allora relativamente recente, della soppressione della Fraternità da
lui fondata. “Vado a Roma cinque-sei
volte all’anno per supplicare i cardinali, il Papa stesso, di ritornare alla
Tradizione, per ridare alla Chiesa la sua vita cattolica […] La mia Fraternità, infatti, è stata
riconosciuta ufficialmente dieci anni fa da Roma e dal vescovo di Friburgo, in
Isvizzera, nella cui diocesi è stata fondata.
In seguito, vescovi progressisti e modernisti hanno visto nei miei
seminari un pericolo per le loro teorie; si sono arrabbiati con me e si sono
detti: bisogna distruggere questi
seminari, bisogna finirla con Écône e con l’opera di Mons. Lefebvre perché
pericolosi per il nostro piano progressista-rivoluzionario. Con il medesimo tono si sono espressi a Roma
e Roma ha acconsentito.
Ma come ho detto a Sua Santità Giovanni Paolo II, la
soppressione è stata fatta in un modo contrario al Diritto Canonico: neanche i soviet emettono giudizi come hanno
fatto i cardinali a Roma per la mia opera.
I soviet hanno un tribunale, una specie di tribunale per condannare
qualcuno; ma io non ho avuto neanche questo tribunale, niente. Sono stato condannato senza avere niente,
nemmeno un preavviso, una convocazione…niente.
Un bel giorno è arrivata una lettera [il 6 maggio 1975, da parte dell’Ordinario
locale, SE Mons. Mamie, arcivescovo di Friburgo, in Isvizzera] per dirmi che il
seminario doveva essere chiuso”.[5]
La soppressione del seminario di Écône
deve ritenersi invalida a tutti gli effetti
Cinquanta anni fa, su “sì sì no no”, appena fondato da Don
Francesco Putti e del tutto autonomo
(allora come oggi) dalla FSSPX, un documentato articolo metteva a nudo le
diverse e gravi irregolarità della procedura posta in opera per colpire la suddetta Fraternità,
inficiata in radice questa procedura dall’assenza dei “gravi motivi”, mai
documentati perché ovviamente inesistenti, rappresentati dai “disordini morali”o
dalle “deviazioni dottrinali”, richiesti dal diritto canonico per una misura
coercitiva di tale gravità. “La chiusura
di un seminario, dove venivano formati bene [per riconoscimento degli stessi
organi competenti] più di 100 alunni, non poteva essere decretata per una
dichiarazione del suo Superiore, disapprovata dalla Autorità ecclesiastica,
anche se la disapprovazione fosse fondata e giusta [il 21 novembre del 1974,
Mons. Lefebvre, che già aveva dichiarato ufficialmente nel 1971 il rifiuto del
Novus Ordo Missae, indignato per le dichiarazioni alquanto eterodosse
rilasciate ai suoi seminaristi da due visitatori apostolici (11-13 novembre
1974), aveva preso pubblicamente posizione contro le infiltrazioni
“neomoderniste” nella Chiesa ufficiale – e ciò comportava un’implicita critica
al Pontefice allora regnante, SS Paolo VI -
proclamando la sua immutabile fedeltà all’insegnamento del Concilio di
Trento] […] Molte volte sono stati destituiti i Superiori per una inaccettabile
dichiarazione o per un grave atto di disubbidienza al Sommo Pontefice, ma mai
chiusi i seminari, gl’istituti, per tale motivo […] E se qualche volta si è ritenuto che le idee
sostenute dal fondatore o dal presente superiore esercitassero un malefico influsso
sulla formazione degli alunni, si è provveduto con la nomina di un visitatore
permanente”.[6] L’articolo non si soffermava sulla questione
della competenza dell’Ordinario nel caso di specie, questione che costituiva
l’argomento-chiave del ricorso presentato immediatamente da Mons. Lefebvre al
Tribunale della Segnatura Apostolica e dichiarato da quest’ultimo irricevibile,
nel quale, per quanto concerneva la competenza, si eccepiva l’invalidità
intrinseca del provvedimento e quindi la sua nullità radicale, a tutti gli
effetti, a causa dell’incompetenza e dell’Ordinario locale ad emanarlo e della
“commissione cardinalizia” di cui sopra a giudicare il ricorrente in materia di
fede.
L’effettiva
natura giuridica della FSSPX
Sul punto capitale dell’incompetenza di Mons. Mamie, ci sia
permesso di fare qualche considerazione.
La FSSPX, come risultava dai suoi statuti e dall’attività svolta, ad
essi perfettamente coerente, era una società
di vita in comune senza voti (pubblici) il cui fine era costituito dalla
formazione sacerdotale secondo i princìpi tradizionali della Chiesa, princìpi
che richiedevano, tra l’altro, il mantenimento della S. Messa tridentina. Queste “società”, nel diritto canonico allora vigente (CIC, 1917) erano considerate congregazioni in senso lato, rispetto a
quelle “in senso stretto”, ricomprese, queste ultime, assieme agli ordini, nelle religioni,
i cui membri facevano vita in comune e professavano pubblicamente i tre voti di
castità, povertà, obbedienza, voti che potevano essere solenni (rendevano ipso
iure invalido l’atto compiuto in loro violazione) o semplici (rendevano
illecito ma non invalido il medesimo atto).[7]
L’esistenza delle società di vita in comune senza voti si
svolgeva “ad imitazione di quella delle religioni, pur senza averne i rigidi
vincoli, e per scopi analoghi, ossia per conseguire una maggiore perfezione
spirituale ed anche per compiere opere di carità cristiana o svolgere
apostolato religioso o sociale. Più
propriamente esse si avvicinano alle congregazioni
religiose, con le quali talora esteriormente si confondono. Il codice ne riconosce l’esistenza, in quanto
i membri (sodales) di tali società –
che possono essere tanto maschili che femminili – vivono in comune, sotto il
governo di superiori e secondo proprie costituzioni, approvate debitamente, ma
senza pronunciare i tre consueti voti pubblici.
Tali società, come dice espressamente il codice, non sono propriamente
religioni, né i loro membri possono propriamente qualificarsi religiosi, però
si distinguono, al pari delle religioni, in clericali
e laicali [se la maggioranza non
risulta composta di sacerdoti], e in società di diritto pontificio e di
diritto diocesano, e sono soggette, in
ordine alla loro erezione e soppressione, alle norme vigenti per le
congregazioni, nonché in genere per analogia, e per quanto possibile, alle
norme del diritto comune relative a queste […] Le denominazioni specifiche che
queste società sogliono assumere in pratica (oratori, ritiri, beghinaggi, conservatori, pie società etc.) non sono
soggette a norme precise.”[8]
Nella prassi la
terminologia era piuttosto elastica. Ma
ciò che conta, ai fini del nostro discorso, è la disciplina allora vigente per
l’erezione e la soppressione (evento quest’ultimo piuttosto raro) delle società
in questione, che era in sostanza quella delle religioni. Le religiones si distinguevano (ex can.
488. 3°, CIC 1917) in religioni di
diritto pontificio, se avevano ottenuto l’approvazione o almeno il decreto
di lode della S. Sede o di diritto
diocesano se, erette dal vescovo, non avevano ancora ottenuto il decreto di
lode.[9] Il c. 492, § 2 del CIC stabiliva poi che una Congregazione di
diritto diocesano, anche se “diffusa in più diocesi”, rimaneva di diritto
diocesano, cioè sottoposta al vescovo della diocesi, fintantoché non avesse
ricevuto “l’approvazione pontificia o il decreto di lode”. Tuttavia
la sua soppressione, “una volta fondata legittimamente”, era riservata alla S.
Sede: supprimi nequit nisi a Sancta Sede (c. 493). In tal modo, il diritto canonico introduceva
delle limitazioni al potere del vescovo, alla cui giurisdizione la
congregazione era sottoposta.[10]
Questa norma ha giocato un ruolo fondamentale
nella vicenda della soppressione della Fraternità, dato che la disciplina
dell’erezione e della soppressione delle religioni era espressamente estesa dal
c. 674 alle società di vita in comune senza voti, dette per l’appunto nell’elastica
terminologia del tempo anch’esse congregazioni.
La FSSPX era stata regolarmente costituita dal predecessore
di Mons. Mamie, SE Mons. Charrière, che ne approvò formalmente gli statuti il primo di novembre del 1970. Perciò, essendo regolarmente costituita
secondo il diritto, Mons. Mamie avrebbe potuto sopprimerla solo con
un’autorizzazione espressa da parte
del Papa, una sorta di delega di poteri.
Ma una simile autorizzazione non risulta esserci stata. Né risulta che il pontefice allora regnante,
SS Paolo VI, abbia approvato in forma
specifica tutta la procedura, ampiamente irregolare, che si concluse con la
lettera di soppressione della FSSPX. Tale approvazione, che deve essere formale, espressa, avrebbe sanato ogni
possibile irregolarità e abuso, a meno che non fossero state violate la legge
naturale o divina. E difatti, il
Tribunale della Segnatura Apostolica dichiarò irricevibile il ricorso di Mons.
Lefebvre adducendo proprio l’argomento della approvazione specifica da parte
del Papa del provvedimento impugnato, adducendo cioè un fatto la cui esistenza non è mai stata provata.
Società
di vita in comune senza voti o pia unio?
Il fatto è che Mons. Charrière, nel concedere la sua
autorizzazione “osservate tutte le prescrizioni canoniche”, eresse la FSSPX “a
titolo di pia unio [au titre de ‘Pia Unio’]”non a titolo di “società di vita in
comune senza voti” (vulgo, “congregazione”,
come risulta dall’art. 1 dello Statuto della stessa: “société sacerdotale de
vie commune sans voeux”)”.[11] Allora, aveva forse ragione Mons. Mamie, dal
momento che, per la soppressione di una “pia unio” non eretta dalla S. Sede ed
operante nella diocesi, era competente l’Ordinario locale, senza bisogno di
autorizzazione pontificia ad hoc, fatto sempre salvo il diritto a ricorrere
contro il provvedimento presso il Tribunale della Segnatura Apostolica? Ma cos’era una pia unione? Gli istituti dei
quali ci stiamo qui sinteticamente occupando, appartengono ormai alla storia
del diritto canonico poiché il nuovo CIC, quello del 1983, ne ha modificato in
parte la disciplina, innovando anche
nella terminologia. Non è perciò facile farsene oggi un’idea precisa.
Le pie unioni,
come i terzi ordini secolari, le confraternite, erano associazioni
tradizionalmente costituite da fedeli laici, alle quali potevano ovviamente
partecipare anche chierici e religiosi. I fedeli che le componevano, non avendo né il
vincolo dei voti né quello derivante dal “collegamento organico e duraturo con
l’associazione” (ossia la vita in comune), vivevano nel secolo “intenti alle
loro normali occupazioni” pur proponendosi di compiere “speciali opere” di
pietà e carità per un fine soprannaturale.
Un esempio famoso di pia unione era costituito dall’Azione Cattolica, un altro dalle Congregazioni Mariane, le quali ultime, nonostante il nome, erano
associazioni di laici che si proponevano di svolgere opera di apostolato,
diffondendo in particolare il culto della SS.ma Vergine (p.e. con le Figlie di Maria).[12]
La FSSPX doveva forse ritenersi una “pia unio” alla stessa
maniera dell’Azione Cattolica e delle
Figlie di Maria? Sicuramente no. La sua intrinseca
natura giuridica, come si è visto, era quella di una società di vita in comune
senza voti, equiparata alle congregazioni in senso stretto. Come spiegare, allora, che sia nata con
l’etichetta della “pia unio”? Il termine
deve evidentemente intendersi in senso tecnico. Il suo impiego mostrerebbe l’adozione di
quella che doveva essere una prassi consolidata dei vescovi. Poiché ci doveva essere sempre un periodo di
prova (rinnovabile) di alcuni anni, in genere sei, prima di giungere alla approbatio definitiva, si cominciava con
l’erigere “a titolo di pia unio” la società che si sarebbe poi trasformata in
congregazione. Quando questo titolo non
corrispondeva alla natura ed all’attività effettiva dell’ente, di un ente cioè
che, venuto in essere come effettiva pia unio (composta nell’occasione in
prevalenza di chierici) si fosse poi trasformato in società di vita in comune
senza voti, allora ci si trovava in presenza, bisogna dire, di una finzione giuridica, la quale presentava
il vantaggio, per l’Ordinario, di una maggiore libertà d’azione nei confronti
della S. Sede, dato che l’erezione di un ente “a titolo di pia unio” non era
vincolata ad un nulla osta preventivo della S. Sede, obbligatorio invece per le
congregazioni (c. 492 § 1). E in questo caso, decidendosi per avventura la
soppressione dell’ente, cosa si veniva ad estinguere, la formale pia unione di cui al “titolo” (e allora la competenza
dell’Ordinario era indiscutibile)[13]
o la concreta società di vita in
comune senza voti? Siamo tra coloro che
ritengono dover, in certi casi, l’ordinamento giuridico concreto prevalere nei confronti di quello formale, soprattutto quando esso è puramente formale. E siamo
convinti che questo modo di sentire sia conforme allo spirito del diritto
canonico. È l’ente nella sua effettiva concretezza istituzionale, è ciò che esso
è secondo i suoi statuti, confermati dall’effettivo comportamento tenuto, è questo ente che l’autorità decide ad un
certo punto di sopprimere. La risposta
al quesito di cui sopra ci sembra pertanto ovvia. La FSSPX ha
operato sin dall’inizio della sua esistenza come congregazione a tutti gli
effetti, non c’è stato un periodo cosiddetto preliminare nel quale i suoi
membri abbiano vissuto senza professare i voti, senza praticare la vita in
comune, senza osservare l’obbligo di
conformare ogni loro azione giornaliera al dettato degli statuti.
Due
riscontri di fatto alla tesi qui sostenuta
Una riprova del fatto che la FSSPX è sempre stata considerata una società di vita in comune senza voti,
si ha, secondo noi, anche da altri due fatti.
Nel periodo 1971-1975, la Santa Sede permise che tre sacerdoti esterni
alla Fraternità vi potessero essere incardinati canonicamente, con regolari
lettere dimissoriali.[14]
Ciò
dimostra che la Fraternità era ritenuta una congregazione
e non una pia unio. Inoltre, nel
protocollo di accordo tra la FSSPX e la S. Sede, firmato da entrambe le parti
il 5 maggio 1988, protocollo che poi, come è noto, non ebbe seguito alcuno, là
ove si trattava delle “questioni giuridiche” da regolare, si affermò : “Tenendo conto del fatto che la Fraternità
etc. è stata concepita da 18 anni come
una società di vita in comune […] la figura canonica più idonea [al suo
inquadramento secondo il nuovo Codice ] è quella di una Società di vita
apostolica”.[15] Si noti bene:
il fatto della sua erezione “a titolo di ‘Pia unio’” è consegnato
all’oblìo, con ogni evidenza perché irrilevante
ai fini della determinazione della natura giuridica specifica della Fraternità
stessa.
Queste affermazioni sono state all’epoca sottoscritte dal
cardinale Ratzinger. Ciò significava che
la S. Sede non aveva nulla da obiettare all’affermazione che la Fraternità “era
stata concepita per 18 anni [e quindi fin dall’atto della sua costituzione]
come società di vita in comune [senza voti pubblici]”. Il regime giuridico per essa previsto dal
protocollo d’intesa, in conformità alla disciplina del nuovo CIC, era quello
della “società di vita apostolica”.
Ebbene, queste societates vitae
apostolicae sono proprio, mutatis
mutandis, le eredi dirette, come è noto, delle societates in communi viventium sine votibus, del precedente
codice. “Anche nel CIC del 1917 (cc.
673-681) queste società [di vita apostolica] avevano ricevuto dal legislatore
un trattamento, ugualmente sotto la denominazione di società di vita in comune
senza voti. È evidente dunque nel
legislatore di ieri e di oggi la volontà di escluderle dalla categoria dei
religiosi in senso stretto […] Ciò
tuttavia non impedisce che siano considerate [da parte del codice stesso] come simili agli istituti di vita consacrata
[è la nuova denominazione delle religioni]
sia perché vivono in vita comune, sia perché professano i voti religiosi, sia
perché osservano le costituzioni [i loro statuti]”.[16]
Poiché la FSSPX era una societas
di vita in comune senza voti, l’esser inquadrata nella figura giuridica della societas vitae apostolicae del nuovo
codice, costituiva il suo sbocco naturale
entro il nuovo ordinamento, sbocco nei confronti del quale nessuno sollevava
obiezioni. Dal protocollo d’intesa del 5
maggio 1988 si ricava dunque, a nostro avviso, una autorevole conferma post
festum della vera natura giuridica della Fraternità, che non è e non è mai stata quella della pia
unio. Le “pie unioni” sono scomparse
dal nuovo codice, in quanto categoria autonoma. Esse sono ricomprese nel
dettato generale del c. 304 sulle “consociationibus christifidelium”, sulle
“consociazioni” o “associazioni” di fedeli, pubbliche o private, “con qualunque
titolo siano chiamate”. Delle vecchie
associazioni di fedeli, solo i Terzi
Ordini sono stati mantenuti come figura autonoma, al c. 303.
Il
senso autenticamente religioso della “Crociata” invocata da Mons. Lefebvre
Come è noto, Monsignor Lefebvre non si piegò
all’ingiustizia subita, si rifiutò di chiudere il suo seminario (a tutt’oggi ben
vivo e vegeto) e procedette con le ordinazioni sacerdotali già previste per il
29 giugno 1975. Fu perciò sospeso a
divinis. Quale valore si deve attribuire
a questa “sospensione”? Crediamo di non
offendere nessuno, con l’affermare che essa debba ritenersi impugnabile per mancanza di presupposti
legittimi, in quanto comminata sulla base di un atto che configurava un abuso
di potere da parte dell’autorità, e in ogni caso invalida perché la disobbedienza di
Mons. Lefebvre non era punibile, in quanto provocata dallo stato di
necessità nel quale egli si era venuto di colpo ed ingiustamente a trovare.
Ma a Mons. Lefebvre è capitato anche di peggio, come
sappiamo, nel 1988, con la scomunica che l’etichettava come “scismatico”,
inflittagli per aver egli ordinato quattro vescovi come suoi successori alla
guida della FSSPX, disattendendo la volontà del Pontefice allora regnante, che
lo aveva invitato a soprassedere, a continuare i negoziati da qualche tempo in
corso con la S. Sede circa la scelta del suo o dei suoi successori. Sulla questione della scomunica e del
supposto “scisma” di Mons. Lefebvre, questo periodico si è già pronunciato con
due studi ad hoc, apparsi alcuni anni fa.[17] Ci sembra pertanto inutile ritornare
sull’argomento. Siamo tra coloro che ritengono
aver Mons. Lefebvre agito sempre con la massima buona fede. Siamo certi, tutto il suo comportamento lo
dimostra, che egli abbia preso la sua decisione convinto di trovarsi in stato
di necessità, a causa delle reticenze e delle ambiguità che si notavano e si
protraevano nella controparte vaticana, circa il modo e i tempi della scelta
dei successori.[18] Scomunica invalida,
dunque, perché esclusa espressamente dal CIC del 1983 quale punizione da
infliggersi ad una disobbedienza motivata da una simile convinzione e scisma inesistente, perché i fatti dimostrano
che mai Mons. Lefebvre ha voluto istituire una chiesa parallela, né l’hanno
voluto i quattro vescovi da lui consacrati.
La FSSPX deve ritenersi a tutt’oggi membro a pieno diritto della Chiesa militante, dalla
quale nessuno può essere ovviamente escluso con provvedimenti invalidi.
La “crociata” alla quale
Mons. Lefebvre invitava i cattolici non era pertanto quella di un
sacerdote ribelle all’insegnamento della Chiesa, accusato poi assurdamente addirittura
di scisma!
“Cosa dobbiamo fare?
Miei cari fratelli, sì, approfondiamo questo grande mistero della Messa.
Ebbene! Penso di poter affermare che dobbiamo fare UNA CROCIATA basata sul santo Sacrificio della
Messa, sul sangue di Nostro Signore Gesù Cristo […] Dobbiamo fare una crociata, una crociata
fondata, precisamente, su queste nozioni di sempre, di sacrificio, per
restaurare la cristianità; rifare una cristianità con gli stessi principi, lo
stesso sacrificio della Messa, gli stessi sacramenti, lo stesso catechismo, la
stessa Bibbia. Dobbiamo ricreare questa
cristianità […] Non lasciamoci allettare
da tutte le idee mondane, da tutte le correnti del mondo che trascinano verso
il peccato e l’inferno. Se vogliamo
andare5 in Cielo, dobbiamo seguire
Nostro Signore Gesù Cristo, portare la nostra croce e seguire Nostro
Signore Gesù Cristo; imitarlo nella sua Croce, nella sua sofferenza, nel suo
sacrificio […] Bisogna confidare nella grazia di Nostro Signore: è
onnipotente. Ho visto la sua grazia operare
in Africa, non c’è alcuna ragione perché non sia così attiva anche da noi, nel
nostro paese [la Francia]. Ecco quanto
volevo dirvi. E voi, cari sacerdoti che
m’ascoltate, stringetevi in una profonda unione sacerdotale per diffondere e
animare questa crociata affinché Gesù regni, Nostro Signore regni.
E per ciò dovete essere santi,
dovete cercare la santità, mostrare la santità, la grazia che opera nelle
vostre anime e nei vostri cuori, questa grazia che ricevete mediante il
sacramento dell’Eucarestia e la santa Messa che offrite. Voi soli potete offrirla! […] Mantenete
la Messa di sempre! E vedrete la civiltà
cristiana rifiorire, civiltà che non è per questo mondo, ma civiltà che
conduce alla città cattolica, e questa città cattolica prepara la città
cattolica del Cielo”.[19]
Bisogna ricreare, con la fede, l’esempio e la predicazione,
uno spirito di crociata per ristabilire l’autentica Messa cattolica, che ci fa
amare la Croce. “Allora, siamo
crociati! Amiamo la croce, seguiamo le
buone tradizioni di tutti coloro che ci hanno preceduto nel combattimento
spirituale contro il demonio, contro il peccato, contro tutte le occasioni di
peccato, contro tutti gli scandali”.[20] E Mons. Lefebvre così concludeva la sua
omelia di Venezia: “Termino chiedendo a voi
tutti di stare riuniti intorno all’altare, al vero altare, con un vero
sacerdote, per continuare il Sacrificio della Messa”.[21] E per concludere questo nostro Ricordo, sul piano più strettamente
culturale, citiamo dalla Prefazione
alla seconda edizione della Lettera
aperta ai cattolici perplessi: “Di
conseguenza, i richiami di quest’opera che si batte per il ritorno alla
Tradizione, si trasformano in esigenze sempre più urgenti a battersi per
l’onore di Dio, per il regno di Gesù Cristo, per la difesa della Chiesa, per la
salvezza delle anime. È un’autentica
crociata che bisogna suscitare, per far sì che i nemici annidati in seno alla
Chiesa si convertano o vengano confutati,
permettendo così il ritorno del Regno universale di Gesù e Maria”.[22]
Questo appello alla difesa senza compromessi del dogma
della fede con le armi della confutazione
razionale e documentata degli errori, appello nel quale noi abbiamo sentito la voce della S. Chiesa perenne, l’abbiamo
sempre fatto nostro, cercando di rispondervi, con l’aiuto di Dio, per quanto è
nelle nostre limitate capacità. E
riteniamo quest’appello ancora del tutto attuale, dal momento che la grave crisi
che da sessanta anni imperversa nella Chiesa, è ben lungi dall’esser superata.
[1] Il presente articolo apparve con lo pseudonimo di “Canonicus”
sul periodico “sì sì no no” , n. 20, novembre 2005, XXXI, pp. 2-4 in occasione
del centenario della nascita di Monsignor Lefebvre (1905-1991). Ho proceduto ad alcuni ritocchi esteriori. Monsignor Lefebvre nacque il 29 novembre 1905,
nel Nord della Francia, a Tourcoing.
[2] SE Mons. Marcel
Lefebvre, Omelia
di Venezia, Chiesa di S. Simeone Piccolo, 7 aprile 1980, in ID., La Crociata di SE Mons. Marcel Lefebvre,
raccolta di tre omelie dello stesso, a cura della FSSPX, s.d., pp. 29-38, pp.
30-34. I testi conservano lo stile
parlato, con qualche ritocco lessicale per l’omelia in italiano.
[3] Omelia
di Venezia, cit., in La Crociata, cit., p. 34.
[4] Giubileo sacerdotale, in La crociata, cit., pp.
4-18. pp. 6-8. Corsivi nostri.
[5] Omelia di Venezia, in op. cit., pp. 35-6. Il
seminario doveva essere chiuso immediatamente.
[6] Vedi: Sì sì no no, I (1975), n. 9: In
merito alla chiusura del Seminario di Écône della Fraternità Sacerdotale di
San Pio X: Illegalità di un procedimento
– iniquità di un provvedimento, pp. 4-5, di Ulpianus. Si trattava
di mons. Arturo de Jorio, giudice del Tribunale della Sacra Rota. La lettera con la quale si sopprimeva con
effetto immediato il seminario, ritirando l’autorizzazione all’esistenza della
FSSPX, era stata preceduta da una convocazione informale a Roma di Mons. Lefebvre di fronte a tre cardinali per un
semplice “scambio di idee”; di fronte ad
una commissione informale (illegale per varie ragioni,
come dimostrava l’articolo, se costituita ed operante come tribunale) che lo
aveva duramente rimproverato per la sua dichiarazione del 21 novembre 1974,
accusandolo, secondo quanto da lui stesso dichiarato, di “voler fare
l’Attanasio” (il vescovo che praticamente da solo aveva iniziato la lotta
contro l’eresia ariana, nel IV secolo, venendo ingiustamente scomunicato per ben
due volte). La lettera di Mons. Mamie
faceva riferimento all’autorità di questa “commissione cardinalizia”, per
giustificare il proprio operato, dichiarando di agire “in pieno accordo” (en plein accord ) con la S. Sede,
dichiarazione che non dimostra, come tale, l’esistenza di un’autorizzazione
specifica (del resto, mai prodotta) conferita, quindi, nelle forme richieste
dal diritto canonico,
[7] Questi dettagli dell’istituto della società di vita in comune senza voti, li abbiamo tratti
principalmente da : A. Bertola, La Costituzione della Chiesa, corso di
diritto canonico, Torino, 1958, 3a ediz. rived. e ampliata; Eichmann-Mörsdorf, Lehrbuch des Kirchenrechts [Manuale
di diritto canonico], 1964, 11a ediz., München, Paderborn, Wien, I
vol, seconda e terza parte.
[8] Bertola, op. cit.,
pp. 240-1. Corsivi nostri.
[9] Op. cit., p. 212.
[10] Eichmann-Mörsdorf, cit.,
p. 493.
[11] Statuts de la Fraternité des
Apôtres de Jésus et Marie ou (selon le titre public) de la Fraternité
Sacerdotale Saint Pie X, pp. V-VI e p. 3 (non numerata).
[12] Per i dettagli dell’ istituto della pia unio, vedi: V. Del Giudice, Nozioni di diritto canonico, Giuffré, Milano, 1970, 12a
ediz. rifatta e aggiornata con la collaborazione del prof. Catalano, pp. 276-9.
[13] Sul punto: Bernard Tissier
de Mallerais, Marcel Lefebvre, une vie,
Clovis, 2002, p. 508. SE Mons. Tissier
de Mallerais, in quest’opera fondamentale per la comprensione della figura di
Mons. Lefebvre, ritiene giuridicamente (anche se non moralmente) legittima la
soppressione della FSSPX da parte di Mons. Mamie: “Le 25 avril en effet, le cardinal Tabera
[uno dei componenti la “commissione cardinalizia” di cui sopra] assure Mgr
Mamie qu’il “possède l’autorité nécessaire pour retirer les actes et
concessions” de son prédécesseur. C’est
bien exact, hélas! La Fraternité,
n’ayant même pas reçu le Nihil
obstat de Rome, n’est pas devenue société de droit diocésain, mais en est
restée au stade préliminaire de pia unio. L’évêque peut donc la dissoudre (cfr. canon
492, § 1-2, et 493) pour une raison grave.
Raison grave, la “declaration” [del 21 novembre 1974 sopra citata] l’est
devant les hommes en place, même si elle ne l’est pas devant Dieu”. Vedi anche
alle pp. 459-460, ove si rivela che il ricorso alla formula della “pia unio” fu
suggerito da autorevoli porporati amici di Mons. Lefebvre. In tal modo,
aggiungiamo noi, si evitava di dover dipendere dall’autorizzazione preventiva
della S. Sede (non richiesta per le pie unioni – c. 708 : sufficit Ordinarii approbatio), presso la quale S. Sede, Mons.
Lefebvre aveva al tempo potenti nemici.
Ma, osserviamo, l’erezione “a titolo di pia unio” non trasformava la FSSPX in una pia unio, non la faceva essere
qualcosa di diverso da ciò che era, si limitava ad appiccicarle un’etichetta
non corrispondente al contenuto, per ragioni di opportunità perfettamente
comprensibili, imposte dalla situazione a chi, nella Gerarchia, a fronte della
grave crisi nella quale si trovavano i seminari investiti dalle “riforme”
promosse dal Vaticano II, si preoccupava
di farne sorgere uno fedele
all’insegnamento tradizionale.
[14] A Rome and Écône Handbook, Q2.
[15] Il testo in Cor
Unum, n. 30, giugno 1988, p. 31.
Corsivi nostri.
[16] Commento al CIC del 1983, a cura di
Mons. Pio Vito Pinto, Pontificia Università Urbaniana, 1985, p. 462.
[17] Le consacrazioni episcopali
di Sua Ecc.za Mons. Lefebvre doverose nonostante il “no” del Papa. Studio teologico, di Hirpinus, Sì sì no no, 1999 (XXV) nn.
1-2; Una
scomunica invalida – uno scisma inesistente.
Riflessioni a dieci anni dalle consacrazioni di Écône. Studio canonico, di Causidicus, ibidem, nn.
3-9.
[18] Un’esposizione
accurata ed imparziale delle vicende che hanno portato alla consacrazione dei
quattro vescovi di Écône, è offerta da Bernard Tissier de Mallerais, op. cit., pp. 557-595.
[19] Omelia
per il Giubileo sacerdotale,
cit., in La crociata. cit., pp. 13-18. Corsivi nostri.
[20] Omelia pasquale tenuta ad Écône
il 6 aprile 1980, in La Crociata, cit.,pp. 22-28, p. 27.
[21] Omelia di Venezia, in op. cit., p. 37.
[22] Mons. Lefebvre, Lettera
aperta ai cattolici perplessi, tr. it. a cura della FSSPX,
Spadarolo-Rimini, 1987, p. 7.
L’originale francese è del 1985.
Corsivi nostri.
PAOLO PASQUALUCCI
RICORDO DI
S.E. MONS. MARCEL LEFEBVRE.[1]
Che cosa abbia rappresentato e rappresenti la lunga, tenace
ed inflessibile battaglia condotta da Mons. Marcel Lefebvre in difesa del
sacerdozio, della dottrina e della S. Messa di sempre, per i cattolici rimasti
fedeli all’insegnamento tradizionale della Chiesa, che non possono accettare le
“riforme” neo-moderniste introdotte con il Concilio ecumenico Vaticano II, cercheremo
di ricordarlo ai nostri lettori attraverso le sue stesse parole, rievocando le
quali, avremo modo di soffermarci anche sull’illegittima soppressione della Fraternità Sacerdotale S. Pio X, da lui
fondata, avvenuta proprio cinquant’anni fa.
Fedeltà
costante di Monsignor Lefebvre alla Chiesa e ai suoi capi
Il giorno 7 aprile
del 1980, Monsignor Lefebvre tenne un’omelia in italiano nella Chiesa di S.
Simeone Piccolo, a Venezia. Con la
franchezza , la linearità e la chiarezza che ne caratterizzavano il modo di
esprimersi, egli espose ai fedeli il senso complessivo della sua posizione e
della “Crociata” alla quale nello stesso tempo li chiamava.
“Forse alcuni di voi hanno dentro di loro dei dubbi. Possono chiedersi perché Mons. Lefebvre è
venuto qui, a Venezia, senza essere stato invitato dal cardinale Cé. La mia presenza crea una situazione che,
nella Chiesa, non è normale […] Mai, mai
vorrei fare qualche cosa di contrario alla Chiesa! Tutta la mia vita è stata al suo
servizio: nei 50 anni di sacerdozio, di cui
33 come vescovo, non ho fatto altro che servire la Chiesa come missionario,
come vescovo in Francia, come superiore generale della Congregazione dello
Spirito Santo e come vescovo missionario […]
Dieci anni fa ho fondato quest’opera – La Fraternità Sacerdotale S. Pio
X – con l’intento di voler sempre servire la Chiesa. Perché, dunque, il cardinale Cé, Patriarca di
Venezia, non è contento della mia venuta e non ne capisce il motivo? Che posso dirvi? Evidentemente non è contento che continui
l’opera svolta sin dal giorno della mia consacrazione sacerdotale. Non ho mai
cambiato in niente, sia quando ho istituito nuovi seminari in Africa, sia
quando ho visitato come delegato apostolico di S.S. Pio XII le 64 diocesi
dell’Africa francese nel corso di undici anni.
Ho visitato tutti i seminari, assegnando ai vescovi
diocesani anche le norme per i nuovi che venivano aperti. Non ho mai cambiato. Quello che la Chiesa ha detto nei concili di
Trento e Vaticano I, non l’ho mai cambiato.
Allora, chi ha cambiato? Io o il cardinale Cé? Non lo so, ma penso che
considerando come vanno le cose, cioè i frutti del cambiamento avvenuto nella
Chiesa a partire dal concilio Vaticano II, lo possiamo constatare coi nostri
occhi di cattolici.
Potete vederlo. Come
vanno oggi, le cose nella Chiesa? Chiedetelo a SE Mons. Pintonello, ex ordinario
militare, che ha fatto un dettagliato rapporto sulle condizioni attuali dei
seminari italiani: una catastrofe! Una vera catastrofe. Quanti seminari venduti o chiusi! Il
seminario di Torino, 300 posti, è vuoto. E quanti altri ne vedete chiusi nelle
vostre diocesi? Allora, sicuramente,
qualcosa nella Chiesa non va perché se non vi sono più seminari, in futuro non
ci saranno più sacerdoti, non ci sarà più Sacrificio della Messa. Che ne sarà della Chiesa? Tutto ciò è impossibile. Hanno cambiato, sì, hanno cambiato, ma
perché?”
La
crisi nella Chiesa, provocata dal
Concilio
“L’hanno fatto – continua
l’omelia – certamente con l’idea di salvare la Chiesa, di fare qualche
cosa di nuovo. Prima del Concilio c’era
veramente una diminuzione di fervore e, allora, hanno pensato che, cambiando,
forse la Chiesa sarebbe diventata più viva.
Ma non si può cambiare ciò che Gesù Cristo ha istituito […] Dicono, anche, che la Chiesa deve cambiare,
come cambia l’uomo moderno; dato che gli uomini hanno un altro modo di vita,
anche la Chiesa deve avere un’altra dottrina, una nuova Messa, nuovi
sacramenti, un nuovo catechismo, nuovi seminari…e così tutto è andato in
rovina, tutto è stato rovinato! […] Da
dove viene il catechismo olandese? Non certo da quello cattolico, benché sia
approvato da cardinali e da vescovi.
Pure il catechismo francese e italiano (che conosco), contengono
errori: non è più la vera dottrina
cattolica come è sempre stata
insegnata. Si tratta di una gravissima
situazione in atto.
In tutto il mondo – e posso dirlo perché ho viaggiato in
tutto il mondo – ho visto gruppi di cattolici come i vostri chiedersi: “Cosa
sta succedendo nella Chiesa?”. Non si sa
più com’è la Chiesa cattolica oggi. Le
cerimonie, il culto mezzo protestante e mezzo cattolico, sono un teatro; non è
più un mistero, il mistero del Sacrificio della Messa, grande mistero, mistero
sublime e celeste. Non si sente più la
soprannaturalità della Messa e, chi vi assiste, prova un senso di vuoto e non
sa più se ha partecipato ad una cerimonia cattolica o ad una cerimonia profana […] Per il bene della Chiesa dobbiamo resistere,
senza essere contro chi detiene l’autorità. Mai.
Ho sempre avuto molto rispetto per il Santo Padre, per i
vescovi e per i cardinali; non sono
capace di pronunciare parole indegne nei
confronti del vostro cardinale Cé, ma ciò non mi impedisce di affermare la
dottrina cattolica perché voglio rimanere cattolico. Quando venni battezzato, il sacerdote domandò
ai miei padrini: “Cosa chiede questo bambino alla Chiesa?”. Risposero: “La fede. Domanda alla Chiesa la
fede”. Ed io, ancora oggi, chiedo alla
Chiesa la fede e fino alla mia morte domanderò alla Chiesa la fede, la fede
cattolica”.[2]
La
riforma liturgica ha oscurato il significato fondamentale della S. Messa
Il mantenimento della S. Messa di rito romano antico,
impropriamente detta tridentina, il cui
canone risale ai tempi apostolici, ha giustamente rappresentato un autentico
cavallo di battaglia di Monsignor Lefebvre, che non ha mai celebrato la messa del Novus Ordo, unitamente (bisogna
ricordarlo) a SE Mons. De Castro Mayer, il vescovo brasiliano che lo ha sempre
coraggiosamente affiancato, con la sua congregazione, nella dura battaglia in difesa del Deposito
della fede. I due vescovi furono gli unici,
tra le centinaia che in Concilio avevano lottato contro la maggioranza
progressista, a continuare nella lotta dopo la fine della celebre assise.
“La Messa è un sacrificio, il Sacrificio della Croce e,
come dice il concilio di Trento, è lo stesso sacrificio del Calvario; con la
sola differenza che uno è cruento e l’altro no, ma tutto è uguale: lo stesso sacerdote, Gesù Cristo, e la stessa
vittima, Gesù Cristo. Se veramente la
vittima è Gesù Cristo-Dio, nostro Redentore, che ha versato tutto il suo sangue
per le nostre anime, è impossibile prenderla tra le mani come un pezzo di pane
qualunque”.[3]
Il significato e l’efficacia salvifica della S. Messa vanno
perduti, se ci si allontana da quel rito, consacrato da una tradizione quasi
bimillenaria, che ne garantisce la natura di sacrificio propiziatorio ed
espiatorio, grazie al quale otteniamo divina misericordia per i nostri peccati
e le grazie delle quali abbiamo bisogno.
Nell’omelia
pronunziata a Parigi in occasione del suo Giubileo sacedotale, il 23 settembre
1979, aveva detto. “Certamente
conoscevo, per gli studi fatti, questo grande mistero della nostra fede, ma non
ne avevo compreso tutto il valore, l’efficacia e la profondità. Ciò lo vissi giorno per giorno, anno per
anno, in Africa e particolarmente nel Gabon dove trascorsi 13 anni della mia
vita missionaria, prima nel seminario, poi nella savana, in mezzo agli
africani, tra gli indigeni […] Quelle
anime pagane, trasformate dalla grazia del battesimo, dall’assistenza alla
Messa e dalla santa Eucaristia, comprendevano il mistero del Sacrificio della
Croce e s’univano a Nostro Signore Gesù Cristo;
nella sofferenza della sua Croce, offrivano i loro sacrifici e i loro
patimenti con Nostro Signore Gesù Cristo, vivendo cristianamente […] Ho potuto vedere villaggi di pagani divenuti
cristiani trasformarsi non solo spiritualmente e sovrannaturalmente, ma anche
fisicamente, socialmente, economicamente, politicamente; trasformarsi perché
quelle persone, da pagane che erano, diventavano coscienti della necessità di
compiere il loro dovere malgrado le prove e i sacrifici, di mantenere i loro
impegni e particolarmente gli obblighi del matrimonio. Allora il villaggio si
trasformava poco alla volta sotto l’influenza della grazia e del santo
Sacrificio della Messa; e tutti quei villaggi volevano avere la propria
cappella e la visita del Padre. La
visita del missionario! Come era attesa
con impazienza per poter assistere alla santa Messa, potersi confessare e
comunicare…Delle anime si consacravano a Dio; dei religiosi, delle religiose,
dei sacerdoti si offrivano e si consacravano a Lui. Ecco i frutti della santa Messa.
La
nozione di sacrificio
Perché tutto questo?
Bisogna, infine, che studiamo un po’ i motivi profondi di questa
trasformazione: è il Sacrificio. La nozione di sacrificio è una nozione
profondamente cattolica. La nostra vita
non può fare a meno del sacrificio da quando Nostro Signore Gesù Cristo, Dio
stesso, ha voluto prendere un corpo come il nostro e dirci “Seguitemi.
Prendete la vostra croce e seguitemi se volete essere salvati”, e ci ha
dato l’esempio della sua morte in croce ed ha sparso il suo sangue. Oseremmo noi, sue povere creature, peccatori
che siamo, non seguire Nostro Signore sulla via del suo sacrificio e della sua
croce?
Questo è tutto il
mistero della civiltà cristiana, della civiltà cattolica: la comprensione del sacrificio nella propria
vita, nella vita quotidiana, e l’intelligenza della sofferenza cristiana;
non considerare più la sofferenza come un male, come un dolore insopportabile,
ma condividere le proprie pene [spirituali] e malattie con le sofferenze di
Nostro Signore Gesù Cristo, guardando la Croce, assistendo alla santa Messa che
è la continuazione della passione di Nostro Signore sul Calvario”.[4]
Non sono vere queste
parole? Non esprimono il significato
autentico della S. Messa e della visione cristiana dell’esistenza? E come mai, per esser sicuri di ritrovarli,
questi significati, dobbiamo rileggere le omelie pronunciate venticinque anni
fa [nel 1979, oggi 44] da Mons. Lefebvre? Perché la gerarchia cattolica, oggi sotto
l’influenza delle ideologie profane, parla molto più dei “diritti” (i “diritti
umani”, come vengono chiamati) che del sacrificio,
della croce che, durante la nostra
vita terrena, se vogliamo salvarci, dobbiamo portare ed esser sempre pronti a
portare, sull’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo, unico nostro vero modello. E tanto è refrattaria la Chiesa cosiddetta
“conciliare” all’idea del sacrificio e della croce, tanto è imbevuta dell’ideologia
profana dei “diritti umani” e dell’idea che grazie ad essi e al “dialogo” su di
essi fondato con tutte le religioni del globo, si debba “costruire un mondo
migliore”, una sorta di democrazia universale; tanto lo è, da aver provocato di fatto il mutamento del significato della
S. Messa, intesa ora dai più – neanche fossimo ai Misteri di Eleusi - come una
festa nella quale si celebra collettivamente la Risurrezione del Dio che
incarnandosi ha già salvato tutto il mondo!
La
ferma protesta di Monsignor Lefebvre contro
l’illegittima soppressione del Seminario di Écône
Nell’omelia di Venezia, Monsignore così riassumeva la
vicenda, allora relativamente recente, della soppressione della Fraternità da
lui fondata. “Vado a Roma cinque-sei
volte all’anno per supplicare i cardinali, il Papa stesso, di ritornare alla
Tradizione, per ridare alla Chiesa la sua vita cattolica […] La mia Fraternità, infatti, è stata
riconosciuta ufficialmente dieci anni fa da Roma e dal vescovo di Friburgo, in
Isvizzera, nella cui diocesi è stata fondata.
In seguito, vescovi progressisti e modernisti hanno visto nei miei
seminari un pericolo per le loro teorie; si sono arrabbiati con me e si sono
detti: bisogna distruggere questi
seminari, bisogna finirla con Écône e con l’opera di Mons. Lefebvre perché
pericolosi per il nostro piano progressista-rivoluzionario. Con il medesimo tono si sono espressi a Roma
e Roma ha acconsentito.
Ma come ho detto a Sua Santità Giovanni Paolo II, la
soppressione è stata fatta in un modo contrario al Diritto Canonico: neanche i soviet emettono giudizi come hanno
fatto i cardinali a Roma per la mia opera.
I soviet hanno un tribunale, una specie di tribunale per condannare
qualcuno; ma io non ho avuto neanche questo tribunale, niente. Sono stato condannato senza avere niente,
nemmeno un preavviso, una convocazione…niente.
Un bel giorno è arrivata una lettera [il 6 maggio 1975, da parte dell’Ordinario
locale, SE Mons. Mamie, arcivescovo di Friburgo, in Isvizzera] per dirmi che il
seminario doveva essere chiuso”.[5]
La soppressione del seminario di Écône
deve ritenersi invalida a tutti gli effetti
Cinquanta anni fa, su “sì sì no no”, appena fondato da Don
Francesco Putti e del tutto autonomo
(allora come oggi) dalla FSSPX, un documentato articolo metteva a nudo le
diverse e gravi irregolarità della procedura posta in opera per colpire la suddetta Fraternità,
inficiata in radice questa procedura dall’assenza dei “gravi motivi”, mai
documentati perché ovviamente inesistenti, rappresentati dai “disordini morali”o
dalle “deviazioni dottrinali”, richiesti dal diritto canonico per una misura
coercitiva di tale gravità. “La chiusura
di un seminario, dove venivano formati bene [per riconoscimento degli stessi
organi competenti] più di 100 alunni, non poteva essere decretata per una
dichiarazione del suo Superiore, disapprovata dalla Autorità ecclesiastica,
anche se la disapprovazione fosse fondata e giusta [il 21 novembre del 1974,
Mons. Lefebvre, che già aveva dichiarato ufficialmente nel 1971 il rifiuto del
Novus Ordo Missae, indignato per le dichiarazioni alquanto eterodosse
rilasciate ai suoi seminaristi da due visitatori apostolici (11-13 novembre
1974), aveva preso pubblicamente posizione contro le infiltrazioni
“neomoderniste” nella Chiesa ufficiale – e ciò comportava un’implicita critica
al Pontefice allora regnante, SS Paolo VI -
proclamando la sua immutabile fedeltà all’insegnamento del Concilio di
Trento] […] Molte volte sono stati destituiti i Superiori per una inaccettabile
dichiarazione o per un grave atto di disubbidienza al Sommo Pontefice, ma mai
chiusi i seminari, gl’istituti, per tale motivo […] E se qualche volta si è ritenuto che le idee
sostenute dal fondatore o dal presente superiore esercitassero un malefico influsso
sulla formazione degli alunni, si è provveduto con la nomina di un visitatore
permanente”.[6] L’articolo non si soffermava sulla questione
della competenza dell’Ordinario nel caso di specie, questione che costituiva
l’argomento-chiave del ricorso presentato immediatamente da Mons. Lefebvre al
Tribunale della Segnatura Apostolica e dichiarato da quest’ultimo irricevibile,
nel quale, per quanto concerneva la competenza, si eccepiva l’invalidità
intrinseca del provvedimento e quindi la sua nullità radicale, a tutti gli
effetti, a causa dell’incompetenza e dell’Ordinario locale ad emanarlo e della
“commissione cardinalizia” di cui sopra a giudicare il ricorrente in materia di
fede.
L’effettiva
natura giuridica della FSSPX
Sul punto capitale dell’incompetenza di Mons. Mamie, ci sia
permesso di fare qualche considerazione.
La FSSPX, come risultava dai suoi statuti e dall’attività svolta, ad
essi perfettamente coerente, era una società
di vita in comune senza voti (pubblici) il cui fine era costituito dalla
formazione sacerdotale secondo i princìpi tradizionali della Chiesa, princìpi
che richiedevano, tra l’altro, il mantenimento della S. Messa tridentina. Queste “società”, nel diritto canonico allora vigente (CIC, 1917) erano considerate congregazioni in senso lato, rispetto a
quelle “in senso stretto”, ricomprese, queste ultime, assieme agli ordini, nelle religioni,
i cui membri facevano vita in comune e professavano pubblicamente i tre voti di
castità, povertà, obbedienza, voti che potevano essere solenni (rendevano ipso
iure invalido l’atto compiuto in loro violazione) o semplici (rendevano
illecito ma non invalido il medesimo atto).[7]
L’esistenza delle società di vita in comune senza voti si
svolgeva “ad imitazione di quella delle religioni, pur senza averne i rigidi
vincoli, e per scopi analoghi, ossia per conseguire una maggiore perfezione
spirituale ed anche per compiere opere di carità cristiana o svolgere
apostolato religioso o sociale. Più
propriamente esse si avvicinano alle congregazioni
religiose, con le quali talora esteriormente si confondono. Il codice ne riconosce l’esistenza, in quanto
i membri (sodales) di tali società –
che possono essere tanto maschili che femminili – vivono in comune, sotto il
governo di superiori e secondo proprie costituzioni, approvate debitamente, ma
senza pronunciare i tre consueti voti pubblici.
Tali società, come dice espressamente il codice, non sono propriamente
religioni, né i loro membri possono propriamente qualificarsi religiosi, però
si distinguono, al pari delle religioni, in clericali
e laicali [se la maggioranza non
risulta composta di sacerdoti], e in società di diritto pontificio e di
diritto diocesano, e sono soggette, in
ordine alla loro erezione e soppressione, alle norme vigenti per le
congregazioni, nonché in genere per analogia, e per quanto possibile, alle
norme del diritto comune relative a queste […] Le denominazioni specifiche che
queste società sogliono assumere in pratica (oratori, ritiri, beghinaggi, conservatori, pie società etc.) non sono
soggette a norme precise.”[8]
Nella prassi la
terminologia era piuttosto elastica. Ma
ciò che conta, ai fini del nostro discorso, è la disciplina allora vigente per
l’erezione e la soppressione (evento quest’ultimo piuttosto raro) delle società
in questione, che era in sostanza quella delle religioni. Le religiones si distinguevano (ex can.
488. 3°, CIC 1917) in religioni di
diritto pontificio, se avevano ottenuto l’approvazione o almeno il decreto
di lode della S. Sede o di diritto
diocesano se, erette dal vescovo, non avevano ancora ottenuto il decreto di
lode.[9] Il c. 492, § 2 del CIC stabiliva poi che una Congregazione di
diritto diocesano, anche se “diffusa in più diocesi”, rimaneva di diritto
diocesano, cioè sottoposta al vescovo della diocesi, fintantoché non avesse
ricevuto “l’approvazione pontificia o il decreto di lode”. Tuttavia
la sua soppressione, “una volta fondata legittimamente”, era riservata alla S.
Sede: supprimi nequit nisi a Sancta Sede (c. 493). In tal modo, il diritto canonico introduceva
delle limitazioni al potere del vescovo, alla cui giurisdizione la
congregazione era sottoposta.[10]
Questa norma ha giocato un ruolo fondamentale
nella vicenda della soppressione della Fraternità, dato che la disciplina
dell’erezione e della soppressione delle religioni era espressamente estesa dal
c. 674 alle società di vita in comune senza voti, dette per l’appunto nell’elastica
terminologia del tempo anch’esse congregazioni.
La FSSPX era stata regolarmente costituita dal predecessore
di Mons. Mamie, SE Mons. Charrière, che ne approvò formalmente gli statuti il primo di novembre del 1970. Perciò, essendo regolarmente costituita
secondo il diritto, Mons. Mamie avrebbe potuto sopprimerla solo con
un’autorizzazione espressa da parte
del Papa, una sorta di delega di poteri.
Ma una simile autorizzazione non risulta esserci stata. Né risulta che il pontefice allora regnante,
SS Paolo VI, abbia approvato in forma
specifica tutta la procedura, ampiamente irregolare, che si concluse con la
lettera di soppressione della FSSPX. Tale approvazione, che deve essere formale, espressa, avrebbe sanato ogni
possibile irregolarità e abuso, a meno che non fossero state violate la legge
naturale o divina. E difatti, il
Tribunale della Segnatura Apostolica dichiarò irricevibile il ricorso di Mons.
Lefebvre adducendo proprio l’argomento della approvazione specifica da parte
del Papa del provvedimento impugnato, adducendo cioè un fatto la cui esistenza non è mai stata provata.
Società
di vita in comune senza voti o pia unio?
Il fatto è che Mons. Charrière, nel concedere la sua
autorizzazione “osservate tutte le prescrizioni canoniche”, eresse la FSSPX “a
titolo di pia unio [au titre de ‘Pia Unio’]”non a titolo di “società di vita in
comune senza voti” (vulgo, “congregazione”,
come risulta dall’art. 1 dello Statuto della stessa: “société sacerdotale de
vie commune sans voeux”)”.[11] Allora, aveva forse ragione Mons. Mamie, dal
momento che, per la soppressione di una “pia unio” non eretta dalla S. Sede ed
operante nella diocesi, era competente l’Ordinario locale, senza bisogno di
autorizzazione pontificia ad hoc, fatto sempre salvo il diritto a ricorrere
contro il provvedimento presso il Tribunale della Segnatura Apostolica? Ma cos’era una pia unione? Gli istituti dei
quali ci stiamo qui sinteticamente occupando, appartengono ormai alla storia
del diritto canonico poiché il nuovo CIC, quello del 1983, ne ha modificato in
parte la disciplina, innovando anche
nella terminologia. Non è perciò facile farsene oggi un’idea precisa.
Le pie unioni,
come i terzi ordini secolari, le confraternite, erano associazioni
tradizionalmente costituite da fedeli laici, alle quali potevano ovviamente
partecipare anche chierici e religiosi. I fedeli che le componevano, non avendo né il
vincolo dei voti né quello derivante dal “collegamento organico e duraturo con
l’associazione” (ossia la vita in comune), vivevano nel secolo “intenti alle
loro normali occupazioni” pur proponendosi di compiere “speciali opere” di
pietà e carità per un fine soprannaturale.
Un esempio famoso di pia unione era costituito dall’Azione Cattolica, un altro dalle Congregazioni Mariane, le quali ultime, nonostante il nome, erano
associazioni di laici che si proponevano di svolgere opera di apostolato,
diffondendo in particolare il culto della SS.ma Vergine (p.e. con le Figlie di Maria).[12]
La FSSPX doveva forse ritenersi una “pia unio” alla stessa
maniera dell’Azione Cattolica e delle
Figlie di Maria? Sicuramente no. La sua intrinseca
natura giuridica, come si è visto, era quella di una società di vita in comune
senza voti, equiparata alle congregazioni in senso stretto. Come spiegare, allora, che sia nata con
l’etichetta della “pia unio”? Il termine
deve evidentemente intendersi in senso tecnico. Il suo impiego mostrerebbe l’adozione di
quella che doveva essere una prassi consolidata dei vescovi. Poiché ci doveva essere sempre un periodo di
prova (rinnovabile) di alcuni anni, in genere sei, prima di giungere alla approbatio definitiva, si cominciava con
l’erigere “a titolo di pia unio” la società che si sarebbe poi trasformata in
congregazione. Quando questo titolo non
corrispondeva alla natura ed all’attività effettiva dell’ente, di un ente cioè
che, venuto in essere come effettiva pia unio (composta nell’occasione in
prevalenza di chierici) si fosse poi trasformato in società di vita in comune
senza voti, allora ci si trovava in presenza, bisogna dire, di una finzione giuridica, la quale presentava
il vantaggio, per l’Ordinario, di una maggiore libertà d’azione nei confronti
della S. Sede, dato che l’erezione di un ente “a titolo di pia unio” non era
vincolata ad un nulla osta preventivo della S. Sede, obbligatorio invece per le
congregazioni (c. 492 § 1). E in questo caso, decidendosi per avventura la
soppressione dell’ente, cosa si veniva ad estinguere, la formale pia unione di cui al “titolo” (e allora la competenza
dell’Ordinario era indiscutibile)[13]
o la concreta società di vita in
comune senza voti? Siamo tra coloro che
ritengono dover, in certi casi, l’ordinamento giuridico concreto prevalere nei confronti di quello formale, soprattutto quando esso è puramente formale. E siamo
convinti che questo modo di sentire sia conforme allo spirito del diritto
canonico. È l’ente nella sua effettiva concretezza istituzionale, è ciò che esso
è secondo i suoi statuti, confermati dall’effettivo comportamento tenuto, è questo ente che l’autorità decide ad un
certo punto di sopprimere. La risposta
al quesito di cui sopra ci sembra pertanto ovvia. La FSSPX ha
operato sin dall’inizio della sua esistenza come congregazione a tutti gli
effetti, non c’è stato un periodo cosiddetto preliminare nel quale i suoi
membri abbiano vissuto senza professare i voti, senza praticare la vita in
comune, senza osservare l’obbligo di
conformare ogni loro azione giornaliera al dettato degli statuti.
Due
riscontri di fatto alla tesi qui sostenuta
Una riprova del fatto che la FSSPX è sempre stata considerata una società di vita in comune senza voti,
si ha, secondo noi, anche da altri due fatti.
Nel periodo 1971-1975, la Santa Sede permise che tre sacerdoti esterni
alla Fraternità vi potessero essere incardinati canonicamente, con regolari
lettere dimissoriali.[14]
Ciò
dimostra che la Fraternità era ritenuta una congregazione
e non una pia unio. Inoltre, nel
protocollo di accordo tra la FSSPX e la S. Sede, firmato da entrambe le parti
il 5 maggio 1988, protocollo che poi, come è noto, non ebbe seguito alcuno, là
ove si trattava delle “questioni giuridiche” da regolare, si affermò : “Tenendo conto del fatto che la Fraternità
etc. è stata concepita da 18 anni come
una società di vita in comune […] la figura canonica più idonea [al suo
inquadramento secondo il nuovo Codice ] è quella di una Società di vita
apostolica”.[15] Si noti bene:
il fatto della sua erezione “a titolo di ‘Pia unio’” è consegnato
all’oblìo, con ogni evidenza perché irrilevante
ai fini della determinazione della natura giuridica specifica della Fraternità
stessa.
Queste affermazioni sono state all’epoca sottoscritte dal
cardinale Ratzinger. Ciò significava che
la S. Sede non aveva nulla da obiettare all’affermazione che la Fraternità “era
stata concepita per 18 anni [e quindi fin dall’atto della sua costituzione]
come società di vita in comune [senza voti pubblici]”. Il regime giuridico per essa previsto dal
protocollo d’intesa, in conformità alla disciplina del nuovo CIC, era quello
della “società di vita apostolica”.
Ebbene, queste societates vitae
apostolicae sono proprio, mutatis
mutandis, le eredi dirette, come è noto, delle societates in communi viventium sine votibus, del precedente
codice. “Anche nel CIC del 1917 (cc.
673-681) queste società [di vita apostolica] avevano ricevuto dal legislatore
un trattamento, ugualmente sotto la denominazione di società di vita in comune
senza voti. È evidente dunque nel
legislatore di ieri e di oggi la volontà di escluderle dalla categoria dei
religiosi in senso stretto […] Ciò
tuttavia non impedisce che siano considerate [da parte del codice stesso] come simili agli istituti di vita consacrata
[è la nuova denominazione delle religioni]
sia perché vivono in vita comune, sia perché professano i voti religiosi, sia
perché osservano le costituzioni [i loro statuti]”.[16]
Poiché la FSSPX era una societas
di vita in comune senza voti, l’esser inquadrata nella figura giuridica della societas vitae apostolicae del nuovo
codice, costituiva il suo sbocco naturale
entro il nuovo ordinamento, sbocco nei confronti del quale nessuno sollevava
obiezioni. Dal protocollo d’intesa del 5
maggio 1988 si ricava dunque, a nostro avviso, una autorevole conferma post
festum della vera natura giuridica della Fraternità, che non è e non è mai stata quella della pia
unio. Le “pie unioni” sono scomparse
dal nuovo codice, in quanto categoria autonoma. Esse sono ricomprese nel
dettato generale del c. 304 sulle “consociationibus christifidelium”, sulle
“consociazioni” o “associazioni” di fedeli, pubbliche o private, “con qualunque
titolo siano chiamate”. Delle vecchie
associazioni di fedeli, solo i Terzi
Ordini sono stati mantenuti come figura autonoma, al c. 303.
Il
senso autenticamente religioso della “Crociata” invocata da Mons. Lefebvre
Come è noto, Monsignor Lefebvre non si piegò
all’ingiustizia subita, si rifiutò di chiudere il suo seminario (a tutt’oggi ben
vivo e vegeto) e procedette con le ordinazioni sacerdotali già previste per il
29 giugno 1975. Fu perciò sospeso a
divinis. Quale valore si deve attribuire
a questa “sospensione”? Crediamo di non
offendere nessuno, con l’affermare che essa debba ritenersi impugnabile per mancanza di presupposti
legittimi, in quanto comminata sulla base di un atto che configurava un abuso
di potere da parte dell’autorità, e in ogni caso invalida perché la disobbedienza di
Mons. Lefebvre non era punibile, in quanto provocata dallo stato di
necessità nel quale egli si era venuto di colpo ed ingiustamente a trovare.
Ma a Mons. Lefebvre è capitato anche di peggio, come
sappiamo, nel 1988, con la scomunica che l’etichettava come “scismatico”,
inflittagli per aver egli ordinato quattro vescovi come suoi successori alla
guida della FSSPX, disattendendo la volontà del Pontefice allora regnante, che
lo aveva invitato a soprassedere, a continuare i negoziati da qualche tempo in
corso con la S. Sede circa la scelta del suo o dei suoi successori. Sulla questione della scomunica e del
supposto “scisma” di Mons. Lefebvre, questo periodico si è già pronunciato con
due studi ad hoc, apparsi alcuni anni fa.[17] Ci sembra pertanto inutile ritornare
sull’argomento. Siamo tra coloro che ritengono
aver Mons. Lefebvre agito sempre con la massima buona fede. Siamo certi, tutto il suo comportamento lo
dimostra, che egli abbia preso la sua decisione convinto di trovarsi in stato
di necessità, a causa delle reticenze e delle ambiguità che si notavano e si
protraevano nella controparte vaticana, circa il modo e i tempi della scelta
dei successori.[18] Scomunica invalida,
dunque, perché esclusa espressamente dal CIC del 1983 quale punizione da
infliggersi ad una disobbedienza motivata da una simile convinzione e scisma inesistente, perché i fatti dimostrano
che mai Mons. Lefebvre ha voluto istituire una chiesa parallela, né l’hanno
voluto i quattro vescovi da lui consacrati.
La FSSPX deve ritenersi a tutt’oggi membro a pieno diritto della Chiesa militante, dalla
quale nessuno può essere ovviamente escluso con provvedimenti invalidi.
La “crociata” alla quale
Mons. Lefebvre invitava i cattolici non era pertanto quella di un
sacerdote ribelle all’insegnamento della Chiesa, accusato poi assurdamente addirittura
di scisma!
“Cosa dobbiamo fare?
Miei cari fratelli, sì, approfondiamo questo grande mistero della Messa.
Ebbene! Penso di poter affermare che dobbiamo fare UNA CROCIATA basata sul santo Sacrificio della
Messa, sul sangue di Nostro Signore Gesù Cristo […] Dobbiamo fare una crociata, una crociata
fondata, precisamente, su queste nozioni di sempre, di sacrificio, per
restaurare la cristianità; rifare una cristianità con gli stessi principi, lo
stesso sacrificio della Messa, gli stessi sacramenti, lo stesso catechismo, la
stessa Bibbia. Dobbiamo ricreare questa
cristianità […] Non lasciamoci allettare
da tutte le idee mondane, da tutte le correnti del mondo che trascinano verso
il peccato e l’inferno. Se vogliamo
andare5 in Cielo, dobbiamo seguire
Nostro Signore Gesù Cristo, portare la nostra croce e seguire Nostro
Signore Gesù Cristo; imitarlo nella sua Croce, nella sua sofferenza, nel suo
sacrificio […] Bisogna confidare nella grazia di Nostro Signore: è
onnipotente. Ho visto la sua grazia operare
in Africa, non c’è alcuna ragione perché non sia così attiva anche da noi, nel
nostro paese [la Francia]. Ecco quanto
volevo dirvi. E voi, cari sacerdoti che
m’ascoltate, stringetevi in una profonda unione sacerdotale per diffondere e
animare questa crociata affinché Gesù regni, Nostro Signore regni.
E per ciò dovete essere santi,
dovete cercare la santità, mostrare la santità, la grazia che opera nelle
vostre anime e nei vostri cuori, questa grazia che ricevete mediante il
sacramento dell’Eucarestia e la santa Messa che offrite. Voi soli potete offrirla! […] Mantenete
la Messa di sempre! E vedrete la civiltà
cristiana rifiorire, civiltà che non è per questo mondo, ma civiltà che
conduce alla città cattolica, e questa città cattolica prepara la città
cattolica del Cielo”.[19]
Bisogna ricreare, con la fede, l’esempio e la predicazione,
uno spirito di crociata per ristabilire l’autentica Messa cattolica, che ci fa
amare la Croce. “Allora, siamo
crociati! Amiamo la croce, seguiamo le
buone tradizioni di tutti coloro che ci hanno preceduto nel combattimento
spirituale contro il demonio, contro il peccato, contro tutte le occasioni di
peccato, contro tutti gli scandali”.[20] E Mons. Lefebvre così concludeva la sua
omelia di Venezia: “Termino chiedendo a voi
tutti di stare riuniti intorno all’altare, al vero altare, con un vero
sacerdote, per continuare il Sacrificio della Messa”.[21] E per concludere questo nostro Ricordo, sul piano più strettamente
culturale, citiamo dalla Prefazione
alla seconda edizione della Lettera
aperta ai cattolici perplessi: “Di
conseguenza, i richiami di quest’opera che si batte per il ritorno alla
Tradizione, si trasformano in esigenze sempre più urgenti a battersi per
l’onore di Dio, per il regno di Gesù Cristo, per la difesa della Chiesa, per la
salvezza delle anime. È un’autentica
crociata che bisogna suscitare, per far sì che i nemici annidati in seno alla
Chiesa si convertano o vengano confutati,
permettendo così il ritorno del Regno universale di Gesù e Maria”.[22]
Questo appello alla difesa senza compromessi del dogma
della fede con le armi della confutazione
razionale e documentata degli errori, appello nel quale noi abbiamo sentito la voce della S. Chiesa perenne, l’abbiamo
sempre fatto nostro, cercando di rispondervi, con l’aiuto di Dio, per quanto è
nelle nostre limitate capacità. E
riteniamo quest’appello ancora del tutto attuale, dal momento che la grave crisi
che da sessanta anni imperversa nella Chiesa, è ben lungi dall’esser superata.
[1] Il presente articolo apparve con lo pseudonimo di “Canonicus”
sul periodico “sì sì no no” , n. 20, novembre 2005, XXXI, pp. 2-4 in occasione
del centenario della nascita di Monsignor Lefebvre (1905-1991). Ho proceduto ad alcuni ritocchi esteriori. Monsignor Lefebvre nacque il 29 novembre 1905,
nel Nord della Francia, a Tourcoing.
[2] SE Mons. Marcel
Lefebvre, Omelia
di Venezia, Chiesa di S. Simeone Piccolo, 7 aprile 1980, in ID., La Crociata di SE Mons. Marcel Lefebvre,
raccolta di tre omelie dello stesso, a cura della FSSPX, s.d., pp. 29-38, pp.
30-34. I testi conservano lo stile
parlato, con qualche ritocco lessicale per l’omelia in italiano.
[3] Omelia
di Venezia, cit., in La Crociata, cit., p. 34.
[4] Giubileo sacerdotale, in La crociata, cit., pp.
4-18. pp. 6-8. Corsivi nostri.
[5] Omelia di Venezia, in op. cit., pp. 35-6. Il
seminario doveva essere chiuso immediatamente.
[6] Vedi: Sì sì no no, I (1975), n. 9: In
merito alla chiusura del Seminario di Écône della Fraternità Sacerdotale di
San Pio X: Illegalità di un procedimento
– iniquità di un provvedimento, pp. 4-5, di Ulpianus. Si trattava
di mons. Arturo de Jorio, giudice del Tribunale della Sacra Rota. La lettera con la quale si sopprimeva con
effetto immediato il seminario, ritirando l’autorizzazione all’esistenza della
FSSPX, era stata preceduta da una convocazione informale a Roma di Mons. Lefebvre di fronte a tre cardinali per un
semplice “scambio di idee”; di fronte ad
una commissione informale (illegale per varie ragioni,
come dimostrava l’articolo, se costituita ed operante come tribunale) che lo
aveva duramente rimproverato per la sua dichiarazione del 21 novembre 1974,
accusandolo, secondo quanto da lui stesso dichiarato, di “voler fare
l’Attanasio” (il vescovo che praticamente da solo aveva iniziato la lotta
contro l’eresia ariana, nel IV secolo, venendo ingiustamente scomunicato per ben
due volte). La lettera di Mons. Mamie
faceva riferimento all’autorità di questa “commissione cardinalizia”, per
giustificare il proprio operato, dichiarando di agire “in pieno accordo” (en plein accord ) con la S. Sede,
dichiarazione che non dimostra, come tale, l’esistenza di un’autorizzazione
specifica (del resto, mai prodotta) conferita, quindi, nelle forme richieste
dal diritto canonico,
[7] Questi dettagli dell’istituto della società di vita in comune senza voti, li abbiamo tratti
principalmente da : A. Bertola, La Costituzione della Chiesa, corso di
diritto canonico, Torino, 1958, 3a ediz. rived. e ampliata; Eichmann-Mörsdorf, Lehrbuch des Kirchenrechts [Manuale
di diritto canonico], 1964, 11a ediz., München, Paderborn, Wien, I
vol, seconda e terza parte.
[8] Bertola, op. cit.,
pp. 240-1. Corsivi nostri.
[9] Op. cit., p. 212.
[10] Eichmann-Mörsdorf, cit.,
p. 493.
[11] Statuts de la Fraternité des
Apôtres de Jésus et Marie ou (selon le titre public) de la Fraternité
Sacerdotale Saint Pie X, pp. V-VI e p. 3 (non numerata).
[12] Per i dettagli dell’ istituto della pia unio, vedi: V. Del Giudice, Nozioni di diritto canonico, Giuffré, Milano, 1970, 12a
ediz. rifatta e aggiornata con la collaborazione del prof. Catalano, pp. 276-9.
[13] Sul punto: Bernard Tissier
de Mallerais, Marcel Lefebvre, une vie,
Clovis, 2002, p. 508. SE Mons. Tissier
de Mallerais, in quest’opera fondamentale per la comprensione della figura di
Mons. Lefebvre, ritiene giuridicamente (anche se non moralmente) legittima la
soppressione della FSSPX da parte di Mons. Mamie: “Le 25 avril en effet, le cardinal Tabera
[uno dei componenti la “commissione cardinalizia” di cui sopra] assure Mgr
Mamie qu’il “possède l’autorité nécessaire pour retirer les actes et
concessions” de son prédécesseur. C’est
bien exact, hélas! La Fraternité,
n’ayant même pas reçu le Nihil
obstat de Rome, n’est pas devenue société de droit diocésain, mais en est
restée au stade préliminaire de pia unio. L’évêque peut donc la dissoudre (cfr. canon
492, § 1-2, et 493) pour une raison grave.
Raison grave, la “declaration” [del 21 novembre 1974 sopra citata] l’est
devant les hommes en place, même si elle ne l’est pas devant Dieu”. Vedi anche
alle pp. 459-460, ove si rivela che il ricorso alla formula della “pia unio” fu
suggerito da autorevoli porporati amici di Mons. Lefebvre. In tal modo,
aggiungiamo noi, si evitava di dover dipendere dall’autorizzazione preventiva
della S. Sede (non richiesta per le pie unioni – c. 708 : sufficit Ordinarii approbatio), presso la quale S. Sede, Mons.
Lefebvre aveva al tempo potenti nemici.
Ma, osserviamo, l’erezione “a titolo di pia unio” non trasformava la FSSPX in una pia unio, non la faceva essere
qualcosa di diverso da ciò che era, si limitava ad appiccicarle un’etichetta
non corrispondente al contenuto, per ragioni di opportunità perfettamente
comprensibili, imposte dalla situazione a chi, nella Gerarchia, a fronte della
grave crisi nella quale si trovavano i seminari investiti dalle “riforme”
promosse dal Vaticano II, si preoccupava
di farne sorgere uno fedele
all’insegnamento tradizionale.
[14] A Rome and Écône Handbook, Q2.
[15] Il testo in Cor
Unum, n. 30, giugno 1988, p. 31.
Corsivi nostri.
[16] Commento al CIC del 1983, a cura di
Mons. Pio Vito Pinto, Pontificia Università Urbaniana, 1985, p. 462.
[17] Le consacrazioni episcopali
di Sua Ecc.za Mons. Lefebvre doverose nonostante il “no” del Papa. Studio teologico, di Hirpinus, Sì sì no no, 1999 (XXV) nn.
1-2; Una
scomunica invalida – uno scisma inesistente.
Riflessioni a dieci anni dalle consacrazioni di Écône. Studio canonico, di Causidicus, ibidem, nn.
3-9.
[18] Un’esposizione
accurata ed imparziale delle vicende che hanno portato alla consacrazione dei
quattro vescovi di Écône, è offerta da Bernard Tissier de Mallerais, op. cit., pp. 557-595.
[19] Omelia
per il Giubileo sacerdotale,
cit., in La crociata. cit., pp. 13-18. Corsivi nostri.
[20] Omelia pasquale tenuta ad Écône
il 6 aprile 1980, in La Crociata, cit.,pp. 22-28, p. 27.
[21] Omelia di Venezia, in op. cit., p. 37.
[22] Mons. Lefebvre, Lettera
aperta ai cattolici perplessi, tr. it. a cura della FSSPX,
Spadarolo-Rimini, 1987, p. 7.
L’originale francese è del 1985.
Corsivi nostri.
PAOLO PASQUALUCCI
RICORDO DI
S.E. MONS. MARCEL LEFEBVRE.[1]
Che cosa abbia rappresentato e rappresenti la lunga, tenace
ed inflessibile battaglia condotta da Mons. Marcel Lefebvre in difesa del
sacerdozio, della dottrina e della S. Messa di sempre, per i cattolici rimasti
fedeli all’insegnamento tradizionale della Chiesa, che non possono accettare le
“riforme” neo-moderniste introdotte con il Concilio ecumenico Vaticano II, cercheremo
di ricordarlo ai nostri lettori attraverso le sue stesse parole, rievocando le
quali, avremo modo di soffermarci anche sull’illegittima soppressione della Fraternità Sacerdotale S. Pio X, da lui
fondata, avvenuta proprio cinquant’anni fa.
Fedeltà
costante di Monsignor Lefebvre alla Chiesa e ai suoi capi
Il giorno 7 aprile
del 1980, Monsignor Lefebvre tenne un’omelia in italiano nella Chiesa di S.
Simeone Piccolo, a Venezia. Con la
franchezza , la linearità e la chiarezza che ne caratterizzavano il modo di
esprimersi, egli espose ai fedeli il senso complessivo della sua posizione e
della “Crociata” alla quale nello stesso tempo li chiamava.
“Forse alcuni di voi hanno dentro di loro dei dubbi. Possono chiedersi perché Mons. Lefebvre è
venuto qui, a Venezia, senza essere stato invitato dal cardinale Cé. La mia presenza crea una situazione che,
nella Chiesa, non è normale […] Mai, mai
vorrei fare qualche cosa di contrario alla Chiesa! Tutta la mia vita è stata al suo
servizio: nei 50 anni di sacerdozio, di cui
33 come vescovo, non ho fatto altro che servire la Chiesa come missionario,
come vescovo in Francia, come superiore generale della Congregazione dello
Spirito Santo e come vescovo missionario […]
Dieci anni fa ho fondato quest’opera – La Fraternità Sacerdotale S. Pio
X – con l’intento di voler sempre servire la Chiesa. Perché, dunque, il cardinale Cé, Patriarca di
Venezia, non è contento della mia venuta e non ne capisce il motivo? Che posso dirvi? Evidentemente non è contento che continui
l’opera svolta sin dal giorno della mia consacrazione sacerdotale. Non ho mai
cambiato in niente, sia quando ho istituito nuovi seminari in Africa, sia
quando ho visitato come delegato apostolico di S.S. Pio XII le 64 diocesi
dell’Africa francese nel corso di undici anni.
Ho visitato tutti i seminari, assegnando ai vescovi
diocesani anche le norme per i nuovi che venivano aperti. Non ho mai cambiato. Quello che la Chiesa ha detto nei concili di
Trento e Vaticano I, non l’ho mai cambiato.
Allora, chi ha cambiato? Io o il cardinale Cé? Non lo so, ma penso che
considerando come vanno le cose, cioè i frutti del cambiamento avvenuto nella
Chiesa a partire dal concilio Vaticano II, lo possiamo constatare coi nostri
occhi di cattolici.
Potete vederlo. Come
vanno oggi, le cose nella Chiesa? Chiedetelo a SE Mons. Pintonello, ex ordinario
militare, che ha fatto un dettagliato rapporto sulle condizioni attuali dei
seminari italiani: una catastrofe! Una vera catastrofe. Quanti seminari venduti o chiusi! Il
seminario di Torino, 300 posti, è vuoto. E quanti altri ne vedete chiusi nelle
vostre diocesi? Allora, sicuramente,
qualcosa nella Chiesa non va perché se non vi sono più seminari, in futuro non
ci saranno più sacerdoti, non ci sarà più Sacrificio della Messa. Che ne sarà della Chiesa? Tutto ciò è impossibile. Hanno cambiato, sì, hanno cambiato, ma
perché?”
La
crisi nella Chiesa, provocata dal
Concilio
“L’hanno fatto – continua
l’omelia – certamente con l’idea di salvare la Chiesa, di fare qualche
cosa di nuovo. Prima del Concilio c’era
veramente una diminuzione di fervore e, allora, hanno pensato che, cambiando,
forse la Chiesa sarebbe diventata più viva.
Ma non si può cambiare ciò che Gesù Cristo ha istituito […] Dicono, anche, che la Chiesa deve cambiare,
come cambia l’uomo moderno; dato che gli uomini hanno un altro modo di vita,
anche la Chiesa deve avere un’altra dottrina, una nuova Messa, nuovi
sacramenti, un nuovo catechismo, nuovi seminari…e così tutto è andato in
rovina, tutto è stato rovinato! […] Da
dove viene il catechismo olandese? Non certo da quello cattolico, benché sia
approvato da cardinali e da vescovi.
Pure il catechismo francese e italiano (che conosco), contengono
errori: non è più la vera dottrina
cattolica come è sempre stata
insegnata. Si tratta di una gravissima
situazione in atto.
In tutto il mondo – e posso dirlo perché ho viaggiato in
tutto il mondo – ho visto gruppi di cattolici come i vostri chiedersi: “Cosa
sta succedendo nella Chiesa?”. Non si sa
più com’è la Chiesa cattolica oggi. Le
cerimonie, il culto mezzo protestante e mezzo cattolico, sono un teatro; non è
più un mistero, il mistero del Sacrificio della Messa, grande mistero, mistero
sublime e celeste. Non si sente più la
soprannaturalità della Messa e, chi vi assiste, prova un senso di vuoto e non
sa più se ha partecipato ad una cerimonia cattolica o ad una cerimonia profana […] Per il bene della Chiesa dobbiamo resistere,
senza essere contro chi detiene l’autorità. Mai.
Ho sempre avuto molto rispetto per il Santo Padre, per i
vescovi e per i cardinali; non sono
capace di pronunciare parole indegne nei
confronti del vostro cardinale Cé, ma ciò non mi impedisce di affermare la
dottrina cattolica perché voglio rimanere cattolico. Quando venni battezzato, il sacerdote domandò
ai miei padrini: “Cosa chiede questo bambino alla Chiesa?”. Risposero: “La fede. Domanda alla Chiesa la
fede”. Ed io, ancora oggi, chiedo alla
Chiesa la fede e fino alla mia morte domanderò alla Chiesa la fede, la fede
cattolica”.[2]
La
riforma liturgica ha oscurato il significato fondamentale della S. Messa
Il mantenimento della S. Messa di rito romano antico,
impropriamente detta tridentina, il cui
canone risale ai tempi apostolici, ha giustamente rappresentato un autentico
cavallo di battaglia di Monsignor Lefebvre, che non ha mai celebrato la messa del Novus Ordo, unitamente (bisogna
ricordarlo) a SE Mons. De Castro Mayer, il vescovo brasiliano che lo ha sempre
coraggiosamente affiancato, con la sua congregazione, nella dura battaglia in difesa del Deposito
della fede. I due vescovi furono gli unici,
tra le centinaia che in Concilio avevano lottato contro la maggioranza
progressista, a continuare nella lotta dopo la fine della celebre assise.
“La Messa è un sacrificio, il Sacrificio della Croce e,
come dice il concilio di Trento, è lo stesso sacrificio del Calvario; con la
sola differenza che uno è cruento e l’altro no, ma tutto è uguale: lo stesso sacerdote, Gesù Cristo, e la stessa
vittima, Gesù Cristo. Se veramente la
vittima è Gesù Cristo-Dio, nostro Redentore, che ha versato tutto il suo sangue
per le nostre anime, è impossibile prenderla tra le mani come un pezzo di pane
qualunque”.[3]
Il significato e l’efficacia salvifica della S. Messa vanno
perduti, se ci si allontana da quel rito, consacrato da una tradizione quasi
bimillenaria, che ne garantisce la natura di sacrificio propiziatorio ed
espiatorio, grazie al quale otteniamo divina misericordia per i nostri peccati
e le grazie delle quali abbiamo bisogno.
Nell’omelia
pronunziata a Parigi in occasione del suo Giubileo sacedotale, il 23 settembre
1979, aveva detto. “Certamente
conoscevo, per gli studi fatti, questo grande mistero della nostra fede, ma non
ne avevo compreso tutto il valore, l’efficacia e la profondità. Ciò lo vissi giorno per giorno, anno per
anno, in Africa e particolarmente nel Gabon dove trascorsi 13 anni della mia
vita missionaria, prima nel seminario, poi nella savana, in mezzo agli
africani, tra gli indigeni […] Quelle
anime pagane, trasformate dalla grazia del battesimo, dall’assistenza alla
Messa e dalla santa Eucaristia, comprendevano il mistero del Sacrificio della
Croce e s’univano a Nostro Signore Gesù Cristo;
nella sofferenza della sua Croce, offrivano i loro sacrifici e i loro
patimenti con Nostro Signore Gesù Cristo, vivendo cristianamente […] Ho potuto vedere villaggi di pagani divenuti
cristiani trasformarsi non solo spiritualmente e sovrannaturalmente, ma anche
fisicamente, socialmente, economicamente, politicamente; trasformarsi perché
quelle persone, da pagane che erano, diventavano coscienti della necessità di
compiere il loro dovere malgrado le prove e i sacrifici, di mantenere i loro
impegni e particolarmente gli obblighi del matrimonio. Allora il villaggio si
trasformava poco alla volta sotto l’influenza della grazia e del santo
Sacrificio della Messa; e tutti quei villaggi volevano avere la propria
cappella e la visita del Padre. La
visita del missionario! Come era attesa
con impazienza per poter assistere alla santa Messa, potersi confessare e
comunicare…Delle anime si consacravano a Dio; dei religiosi, delle religiose,
dei sacerdoti si offrivano e si consacravano a Lui. Ecco i frutti della santa Messa.
La
nozione di sacrificio
Perché tutto questo?
Bisogna, infine, che studiamo un po’ i motivi profondi di questa
trasformazione: è il Sacrificio. La nozione di sacrificio è una nozione
profondamente cattolica. La nostra vita
non può fare a meno del sacrificio da quando Nostro Signore Gesù Cristo, Dio
stesso, ha voluto prendere un corpo come il nostro e dirci “Seguitemi.
Prendete la vostra croce e seguitemi se volete essere salvati”, e ci ha
dato l’esempio della sua morte in croce ed ha sparso il suo sangue. Oseremmo noi, sue povere creature, peccatori
che siamo, non seguire Nostro Signore sulla via del suo sacrificio e della sua
croce?
Questo è tutto il
mistero della civiltà cristiana, della civiltà cattolica: la comprensione del sacrificio nella propria
vita, nella vita quotidiana, e l’intelligenza della sofferenza cristiana;
non considerare più la sofferenza come un male, come un dolore insopportabile,
ma condividere le proprie pene [spirituali] e malattie con le sofferenze di
Nostro Signore Gesù Cristo, guardando la Croce, assistendo alla santa Messa che
è la continuazione della passione di Nostro Signore sul Calvario”.[4]
Non sono vere queste
parole? Non esprimono il significato
autentico della S. Messa e della visione cristiana dell’esistenza? E come mai, per esser sicuri di ritrovarli,
questi significati, dobbiamo rileggere le omelie pronunciate venticinque anni
fa [nel 1979, oggi 44] da Mons. Lefebvre? Perché la gerarchia cattolica, oggi sotto
l’influenza delle ideologie profane, parla molto più dei “diritti” (i “diritti
umani”, come vengono chiamati) che del sacrificio,
della croce che, durante la nostra
vita terrena, se vogliamo salvarci, dobbiamo portare ed esser sempre pronti a
portare, sull’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo, unico nostro vero modello. E tanto è refrattaria la Chiesa cosiddetta
“conciliare” all’idea del sacrificio e della croce, tanto è imbevuta dell’ideologia
profana dei “diritti umani” e dell’idea che grazie ad essi e al “dialogo” su di
essi fondato con tutte le religioni del globo, si debba “costruire un mondo
migliore”, una sorta di democrazia universale; tanto lo è, da aver provocato di fatto il mutamento del significato della
S. Messa, intesa ora dai più – neanche fossimo ai Misteri di Eleusi - come una
festa nella quale si celebra collettivamente la Risurrezione del Dio che
incarnandosi ha già salvato tutto il mondo!
La
ferma protesta di Monsignor Lefebvre contro
l’illegittima soppressione del Seminario di Écône
Nell’omelia di Venezia, Monsignore così riassumeva la
vicenda, allora relativamente recente, della soppressione della Fraternità da
lui fondata. “Vado a Roma cinque-sei
volte all’anno per supplicare i cardinali, il Papa stesso, di ritornare alla
Tradizione, per ridare alla Chiesa la sua vita cattolica […] La mia Fraternità, infatti, è stata
riconosciuta ufficialmente dieci anni fa da Roma e dal vescovo di Friburgo, in
Isvizzera, nella cui diocesi è stata fondata.
In seguito, vescovi progressisti e modernisti hanno visto nei miei
seminari un pericolo per le loro teorie; si sono arrabbiati con me e si sono
detti: bisogna distruggere questi
seminari, bisogna finirla con Écône e con l’opera di Mons. Lefebvre perché
pericolosi per il nostro piano progressista-rivoluzionario. Con il medesimo tono si sono espressi a Roma
e Roma ha acconsentito.
Ma come ho detto a Sua Santità Giovanni Paolo II, la
soppressione è stata fatta in un modo contrario al Diritto Canonico: neanche i soviet emettono giudizi come hanno
fatto i cardinali a Roma per la mia opera.
I soviet hanno un tribunale, una specie di tribunale per condannare
qualcuno; ma io non ho avuto neanche questo tribunale, niente. Sono stato condannato senza avere niente,
nemmeno un preavviso, una convocazione…niente.
Un bel giorno è arrivata una lettera [il 6 maggio 1975, da parte dell’Ordinario
locale, SE Mons. Mamie, arcivescovo di Friburgo, in Isvizzera] per dirmi che il
seminario doveva essere chiuso”.[5]
La soppressione del seminario di Écône
deve ritenersi invalida a tutti gli effetti
Cinquanta anni fa, su “sì sì no no”, appena fondato da Don
Francesco Putti e del tutto autonomo
(allora come oggi) dalla FSSPX, un documentato articolo metteva a nudo le
diverse e gravi irregolarità della procedura posta in opera per colpire la suddetta Fraternità,
inficiata in radice questa procedura dall’assenza dei “gravi motivi”, mai
documentati perché ovviamente inesistenti, rappresentati dai “disordini morali”o
dalle “deviazioni dottrinali”, richiesti dal diritto canonico per una misura
coercitiva di tale gravità. “La chiusura
di un seminario, dove venivano formati bene [per riconoscimento degli stessi
organi competenti] più di 100 alunni, non poteva essere decretata per una
dichiarazione del suo Superiore, disapprovata dalla Autorità ecclesiastica,
anche se la disapprovazione fosse fondata e giusta [il 21 novembre del 1974,
Mons. Lefebvre, che già aveva dichiarato ufficialmente nel 1971 il rifiuto del
Novus Ordo Missae, indignato per le dichiarazioni alquanto eterodosse
rilasciate ai suoi seminaristi da due visitatori apostolici (11-13 novembre
1974), aveva preso pubblicamente posizione contro le infiltrazioni
“neomoderniste” nella Chiesa ufficiale – e ciò comportava un’implicita critica
al Pontefice allora regnante, SS Paolo VI -
proclamando la sua immutabile fedeltà all’insegnamento del Concilio di
Trento] […] Molte volte sono stati destituiti i Superiori per una inaccettabile
dichiarazione o per un grave atto di disubbidienza al Sommo Pontefice, ma mai
chiusi i seminari, gl’istituti, per tale motivo […] E se qualche volta si è ritenuto che le idee
sostenute dal fondatore o dal presente superiore esercitassero un malefico influsso
sulla formazione degli alunni, si è provveduto con la nomina di un visitatore
permanente”.[6] L’articolo non si soffermava sulla questione
della competenza dell’Ordinario nel caso di specie, questione che costituiva
l’argomento-chiave del ricorso presentato immediatamente da Mons. Lefebvre al
Tribunale della Segnatura Apostolica e dichiarato da quest’ultimo irricevibile,
nel quale, per quanto concerneva la competenza, si eccepiva l’invalidità
intrinseca del provvedimento e quindi la sua nullità radicale, a tutti gli
effetti, a causa dell’incompetenza e dell’Ordinario locale ad emanarlo e della
“commissione cardinalizia” di cui sopra a giudicare il ricorrente in materia di
fede.
L’effettiva
natura giuridica della FSSPX
Sul punto capitale dell’incompetenza di Mons. Mamie, ci sia
permesso di fare qualche considerazione.
La FSSPX, come risultava dai suoi statuti e dall’attività svolta, ad
essi perfettamente coerente, era una società
di vita in comune senza voti (pubblici) il cui fine era costituito dalla
formazione sacerdotale secondo i princìpi tradizionali della Chiesa, princìpi
che richiedevano, tra l’altro, il mantenimento della S. Messa tridentina. Queste “società”, nel diritto canonico allora vigente (CIC, 1917) erano considerate congregazioni in senso lato, rispetto a
quelle “in senso stretto”, ricomprese, queste ultime, assieme agli ordini, nelle religioni,
i cui membri facevano vita in comune e professavano pubblicamente i tre voti di
castità, povertà, obbedienza, voti che potevano essere solenni (rendevano ipso
iure invalido l’atto compiuto in loro violazione) o semplici (rendevano
illecito ma non invalido il medesimo atto).[7]
L’esistenza delle società di vita in comune senza voti si
svolgeva “ad imitazione di quella delle religioni, pur senza averne i rigidi
vincoli, e per scopi analoghi, ossia per conseguire una maggiore perfezione
spirituale ed anche per compiere opere di carità cristiana o svolgere
apostolato religioso o sociale. Più
propriamente esse si avvicinano alle congregazioni
religiose, con le quali talora esteriormente si confondono. Il codice ne riconosce l’esistenza, in quanto
i membri (sodales) di tali società –
che possono essere tanto maschili che femminili – vivono in comune, sotto il
governo di superiori e secondo proprie costituzioni, approvate debitamente, ma
senza pronunciare i tre consueti voti pubblici.
Tali società, come dice espressamente il codice, non sono propriamente
religioni, né i loro membri possono propriamente qualificarsi religiosi, però
si distinguono, al pari delle religioni, in clericali
e laicali [se la maggioranza non
risulta composta di sacerdoti], e in società di diritto pontificio e di
diritto diocesano, e sono soggette, in
ordine alla loro erezione e soppressione, alle norme vigenti per le
congregazioni, nonché in genere per analogia, e per quanto possibile, alle
norme del diritto comune relative a queste […] Le denominazioni specifiche che
queste società sogliono assumere in pratica (oratori, ritiri, beghinaggi, conservatori, pie società etc.) non sono
soggette a norme precise.”[8]
Nella prassi la
terminologia era piuttosto elastica. Ma
ciò che conta, ai fini del nostro discorso, è la disciplina allora vigente per
l’erezione e la soppressione (evento quest’ultimo piuttosto raro) delle società
in questione, che era in sostanza quella delle religioni. Le religiones si distinguevano (ex can.
488. 3°, CIC 1917) in religioni di
diritto pontificio, se avevano ottenuto l’approvazione o almeno il decreto
di lode della S. Sede o di diritto
diocesano se, erette dal vescovo, non avevano ancora ottenuto il decreto di
lode.[9] Il c. 492, § 2 del CIC stabiliva poi che una Congregazione di
diritto diocesano, anche se “diffusa in più diocesi”, rimaneva di diritto
diocesano, cioè sottoposta al vescovo della diocesi, fintantoché non avesse
ricevuto “l’approvazione pontificia o il decreto di lode”. Tuttavia
la sua soppressione, “una volta fondata legittimamente”, era riservata alla S.
Sede: supprimi nequit nisi a Sancta Sede (c. 493). In tal modo, il diritto canonico introduceva
delle limitazioni al potere del vescovo, alla cui giurisdizione la
congregazione era sottoposta.[10]
Questa norma ha giocato un ruolo fondamentale
nella vicenda della soppressione della Fraternità, dato che la disciplina
dell’erezione e della soppressione delle religioni era espressamente estesa dal
c. 674 alle società di vita in comune senza voti, dette per l’appunto nell’elastica
terminologia del tempo anch’esse congregazioni.
La FSSPX era stata regolarmente costituita dal predecessore
di Mons. Mamie, SE Mons. Charrière, che ne approvò formalmente gli statuti il primo di novembre del 1970. Perciò, essendo regolarmente costituita
secondo il diritto, Mons. Mamie avrebbe potuto sopprimerla solo con
un’autorizzazione espressa da parte
del Papa, una sorta di delega di poteri.
Ma una simile autorizzazione non risulta esserci stata. Né risulta che il pontefice allora regnante,
SS Paolo VI, abbia approvato in forma
specifica tutta la procedura, ampiamente irregolare, che si concluse con la
lettera di soppressione della FSSPX. Tale approvazione, che deve essere formale, espressa, avrebbe sanato ogni
possibile irregolarità e abuso, a meno che non fossero state violate la legge
naturale o divina. E difatti, il
Tribunale della Segnatura Apostolica dichiarò irricevibile il ricorso di Mons.
Lefebvre adducendo proprio l’argomento della approvazione specifica da parte
del Papa del provvedimento impugnato, adducendo cioè un fatto la cui esistenza non è mai stata provata.
Società
di vita in comune senza voti o pia unio?
Il fatto è che Mons. Charrière, nel concedere la sua
autorizzazione “osservate tutte le prescrizioni canoniche”, eresse la FSSPX “a
titolo di pia unio [au titre de ‘Pia Unio’]”non a titolo di “società di vita in
comune senza voti” (vulgo, “congregazione”,
come risulta dall’art. 1 dello Statuto della stessa: “société sacerdotale de
vie commune sans voeux”)”.[11] Allora, aveva forse ragione Mons. Mamie, dal
momento che, per la soppressione di una “pia unio” non eretta dalla S. Sede ed
operante nella diocesi, era competente l’Ordinario locale, senza bisogno di
autorizzazione pontificia ad hoc, fatto sempre salvo il diritto a ricorrere
contro il provvedimento presso il Tribunale della Segnatura Apostolica? Ma cos’era una pia unione? Gli istituti dei
quali ci stiamo qui sinteticamente occupando, appartengono ormai alla storia
del diritto canonico poiché il nuovo CIC, quello del 1983, ne ha modificato in
parte la disciplina, innovando anche
nella terminologia. Non è perciò facile farsene oggi un’idea precisa.
Le pie unioni,
come i terzi ordini secolari, le confraternite, erano associazioni
tradizionalmente costituite da fedeli laici, alle quali potevano ovviamente
partecipare anche chierici e religiosi. I fedeli che le componevano, non avendo né il
vincolo dei voti né quello derivante dal “collegamento organico e duraturo con
l’associazione” (ossia la vita in comune), vivevano nel secolo “intenti alle
loro normali occupazioni” pur proponendosi di compiere “speciali opere” di
pietà e carità per un fine soprannaturale.
Un esempio famoso di pia unione era costituito dall’Azione Cattolica, un altro dalle Congregazioni Mariane, le quali ultime, nonostante il nome, erano
associazioni di laici che si proponevano di svolgere opera di apostolato,
diffondendo in particolare il culto della SS.ma Vergine (p.e. con le Figlie di Maria).[12]
La FSSPX doveva forse ritenersi una “pia unio” alla stessa
maniera dell’Azione Cattolica e delle
Figlie di Maria? Sicuramente no. La sua intrinseca
natura giuridica, come si è visto, era quella di una società di vita in comune
senza voti, equiparata alle congregazioni in senso stretto. Come spiegare, allora, che sia nata con
l’etichetta della “pia unio”? Il termine
deve evidentemente intendersi in senso tecnico. Il suo impiego mostrerebbe l’adozione di
quella che doveva essere una prassi consolidata dei vescovi. Poiché ci doveva essere sempre un periodo di
prova (rinnovabile) di alcuni anni, in genere sei, prima di giungere alla approbatio definitiva, si cominciava con
l’erigere “a titolo di pia unio” la società che si sarebbe poi trasformata in
congregazione. Quando questo titolo non
corrispondeva alla natura ed all’attività effettiva dell’ente, di un ente cioè
che, venuto in essere come effettiva pia unio (composta nell’occasione in
prevalenza di chierici) si fosse poi trasformato in società di vita in comune
senza voti, allora ci si trovava in presenza, bisogna dire, di una finzione giuridica, la quale presentava
il vantaggio, per l’Ordinario, di una maggiore libertà d’azione nei confronti
della S. Sede, dato che l’erezione di un ente “a titolo di pia unio” non era
vincolata ad un nulla osta preventivo della S. Sede, obbligatorio invece per le
congregazioni (c. 492 § 1). E in questo caso, decidendosi per avventura la
soppressione dell’ente, cosa si veniva ad estinguere, la formale pia unione di cui al “titolo” (e allora la competenza
dell’Ordinario era indiscutibile)[13]
o la concreta società di vita in
comune senza voti? Siamo tra coloro che
ritengono dover, in certi casi, l’ordinamento giuridico concreto prevalere nei confronti di quello formale, soprattutto quando esso è puramente formale. E siamo
convinti che questo modo di sentire sia conforme allo spirito del diritto
canonico. È l’ente nella sua effettiva concretezza istituzionale, è ciò che esso
è secondo i suoi statuti, confermati dall’effettivo comportamento tenuto, è questo ente che l’autorità decide ad un
certo punto di sopprimere. La risposta
al quesito di cui sopra ci sembra pertanto ovvia. La FSSPX ha
operato sin dall’inizio della sua esistenza come congregazione a tutti gli
effetti, non c’è stato un periodo cosiddetto preliminare nel quale i suoi
membri abbiano vissuto senza professare i voti, senza praticare la vita in
comune, senza osservare l’obbligo di
conformare ogni loro azione giornaliera al dettato degli statuti.
Due
riscontri di fatto alla tesi qui sostenuta
Una riprova del fatto che la FSSPX è sempre stata considerata una società di vita in comune senza voti,
si ha, secondo noi, anche da altri due fatti.
Nel periodo 1971-1975, la Santa Sede permise che tre sacerdoti esterni
alla Fraternità vi potessero essere incardinati canonicamente, con regolari
lettere dimissoriali.[14]
Ciò
dimostra che la Fraternità era ritenuta una congregazione
e non una pia unio. Inoltre, nel
protocollo di accordo tra la FSSPX e la S. Sede, firmato da entrambe le parti
il 5 maggio 1988, protocollo che poi, come è noto, non ebbe seguito alcuno, là
ove si trattava delle “questioni giuridiche” da regolare, si affermò : “Tenendo conto del fatto che la Fraternità
etc. è stata concepita da 18 anni come
una società di vita in comune […] la figura canonica più idonea [al suo
inquadramento secondo il nuovo Codice ] è quella di una Società di vita
apostolica”.[15] Si noti bene:
il fatto della sua erezione “a titolo di ‘Pia unio’” è consegnato
all’oblìo, con ogni evidenza perché irrilevante
ai fini della determinazione della natura giuridica specifica della Fraternità
stessa.
Queste affermazioni sono state all’epoca sottoscritte dal
cardinale Ratzinger. Ciò significava che
la S. Sede non aveva nulla da obiettare all’affermazione che la Fraternità “era
stata concepita per 18 anni [e quindi fin dall’atto della sua costituzione]
come società di vita in comune [senza voti pubblici]”. Il regime giuridico per essa previsto dal
protocollo d’intesa, in conformità alla disciplina del nuovo CIC, era quello
della “società di vita apostolica”.
Ebbene, queste societates vitae
apostolicae sono proprio, mutatis
mutandis, le eredi dirette, come è noto, delle societates in communi viventium sine votibus, del precedente
codice. “Anche nel CIC del 1917 (cc.
673-681) queste società [di vita apostolica] avevano ricevuto dal legislatore
un trattamento, ugualmente sotto la denominazione di società di vita in comune
senza voti. È evidente dunque nel
legislatore di ieri e di oggi la volontà di escluderle dalla categoria dei
religiosi in senso stretto […] Ciò
tuttavia non impedisce che siano considerate [da parte del codice stesso] come simili agli istituti di vita consacrata
[è la nuova denominazione delle religioni]
sia perché vivono in vita comune, sia perché professano i voti religiosi, sia
perché osservano le costituzioni [i loro statuti]”.[16]
Poiché la FSSPX era una societas
di vita in comune senza voti, l’esser inquadrata nella figura giuridica della societas vitae apostolicae del nuovo
codice, costituiva il suo sbocco naturale
entro il nuovo ordinamento, sbocco nei confronti del quale nessuno sollevava
obiezioni. Dal protocollo d’intesa del 5
maggio 1988 si ricava dunque, a nostro avviso, una autorevole conferma post
festum della vera natura giuridica della Fraternità, che non è e non è mai stata quella della pia
unio. Le “pie unioni” sono scomparse
dal nuovo codice, in quanto categoria autonoma. Esse sono ricomprese nel
dettato generale del c. 304 sulle “consociationibus christifidelium”, sulle
“consociazioni” o “associazioni” di fedeli, pubbliche o private, “con qualunque
titolo siano chiamate”. Delle vecchie
associazioni di fedeli, solo i Terzi
Ordini sono stati mantenuti come figura autonoma, al c. 303.
Il
senso autenticamente religioso della “Crociata” invocata da Mons. Lefebvre
Come è noto, Monsignor Lefebvre non si piegò
all’ingiustizia subita, si rifiutò di chiudere il suo seminario (a tutt’oggi ben
vivo e vegeto) e procedette con le ordinazioni sacerdotali già previste per il
29 giugno 1975. Fu perciò sospeso a
divinis. Quale valore si deve attribuire
a questa “sospensione”? Crediamo di non
offendere nessuno, con l’affermare che essa debba ritenersi impugnabile per mancanza di presupposti
legittimi, in quanto comminata sulla base di un atto che configurava un abuso
di potere da parte dell’autorità, e in ogni caso invalida perché la disobbedienza di
Mons. Lefebvre non era punibile, in quanto provocata dallo stato di
necessità nel quale egli si era venuto di colpo ed ingiustamente a trovare.
Ma a Mons. Lefebvre è capitato anche di peggio, come
sappiamo, nel 1988, con la scomunica che l’etichettava come “scismatico”,
inflittagli per aver egli ordinato quattro vescovi come suoi successori alla
guida della FSSPX, disattendendo la volontà del Pontefice allora regnante, che
lo aveva invitato a soprassedere, a continuare i negoziati da qualche tempo in
corso con la S. Sede circa la scelta del suo o dei suoi successori. Sulla questione della scomunica e del
supposto “scisma” di Mons. Lefebvre, questo periodico si è già pronunciato con
due studi ad hoc, apparsi alcuni anni fa.[17] Ci sembra pertanto inutile ritornare
sull’argomento. Siamo tra coloro che ritengono
aver Mons. Lefebvre agito sempre con la massima buona fede. Siamo certi, tutto il suo comportamento lo
dimostra, che egli abbia preso la sua decisione convinto di trovarsi in stato
di necessità, a causa delle reticenze e delle ambiguità che si notavano e si
protraevano nella controparte vaticana, circa il modo e i tempi della scelta
dei successori.[18] Scomunica invalida,
dunque, perché esclusa espressamente dal CIC del 1983 quale punizione da
infliggersi ad una disobbedienza motivata da una simile convinzione e scisma inesistente, perché i fatti dimostrano
che mai Mons. Lefebvre ha voluto istituire una chiesa parallela, né l’hanno
voluto i quattro vescovi da lui consacrati.
La FSSPX deve ritenersi a tutt’oggi membro a pieno diritto della Chiesa militante, dalla
quale nessuno può essere ovviamente escluso con provvedimenti invalidi.
La “crociata” alla quale
Mons. Lefebvre invitava i cattolici non era pertanto quella di un
sacerdote ribelle all’insegnamento della Chiesa, accusato poi assurdamente addirittura
di scisma!
“Cosa dobbiamo fare?
Miei cari fratelli, sì, approfondiamo questo grande mistero della Messa.
Ebbene! Penso di poter affermare che dobbiamo fare UNA CROCIATA basata sul santo Sacrificio della
Messa, sul sangue di Nostro Signore Gesù Cristo […] Dobbiamo fare una crociata, una crociata
fondata, precisamente, su queste nozioni di sempre, di sacrificio, per
restaurare la cristianità; rifare una cristianità con gli stessi principi, lo
stesso sacrificio della Messa, gli stessi sacramenti, lo stesso catechismo, la
stessa Bibbia. Dobbiamo ricreare questa
cristianità […] Non lasciamoci allettare
da tutte le idee mondane, da tutte le correnti del mondo che trascinano verso
il peccato e l’inferno. Se vogliamo
andare5 in Cielo, dobbiamo seguire
Nostro Signore Gesù Cristo, portare la nostra croce e seguire Nostro
Signore Gesù Cristo; imitarlo nella sua Croce, nella sua sofferenza, nel suo
sacrificio […] Bisogna confidare nella grazia di Nostro Signore: è
onnipotente. Ho visto la sua grazia operare
in Africa, non c’è alcuna ragione perché non sia così attiva anche da noi, nel
nostro paese [la Francia]. Ecco quanto
volevo dirvi. E voi, cari sacerdoti che
m’ascoltate, stringetevi in una profonda unione sacerdotale per diffondere e
animare questa crociata affinché Gesù regni, Nostro Signore regni.
E per ciò dovete essere santi,
dovete cercare la santità, mostrare la santità, la grazia che opera nelle
vostre anime e nei vostri cuori, questa grazia che ricevete mediante il
sacramento dell’Eucarestia e la santa Messa che offrite. Voi soli potete offrirla! […] Mantenete
la Messa di sempre! E vedrete la civiltà
cristiana rifiorire, civiltà che non è per questo mondo, ma civiltà che
conduce alla città cattolica, e questa città cattolica prepara la città
cattolica del Cielo”.[19]
Bisogna ricreare, con la fede, l’esempio e la predicazione,
uno spirito di crociata per ristabilire l’autentica Messa cattolica, che ci fa
amare la Croce. “Allora, siamo
crociati! Amiamo la croce, seguiamo le
buone tradizioni di tutti coloro che ci hanno preceduto nel combattimento
spirituale contro il demonio, contro il peccato, contro tutte le occasioni di
peccato, contro tutti gli scandali”.[20] E Mons. Lefebvre così concludeva la sua
omelia di Venezia: “Termino chiedendo a voi
tutti di stare riuniti intorno all’altare, al vero altare, con un vero
sacerdote, per continuare il Sacrificio della Messa”.[21] E per concludere questo nostro Ricordo, sul piano più strettamente
culturale, citiamo dalla Prefazione
alla seconda edizione della Lettera
aperta ai cattolici perplessi: “Di
conseguenza, i richiami di quest’opera che si batte per il ritorno alla
Tradizione, si trasformano in esigenze sempre più urgenti a battersi per
l’onore di Dio, per il regno di Gesù Cristo, per la difesa della Chiesa, per la
salvezza delle anime. È un’autentica
crociata che bisogna suscitare, per far sì che i nemici annidati in seno alla
Chiesa si convertano o vengano confutati,
permettendo così il ritorno del Regno universale di Gesù e Maria”.[22]
Questo appello alla difesa senza compromessi del dogma
della fede con le armi della confutazione
razionale e documentata degli errori, appello nel quale noi abbiamo sentito la voce della S. Chiesa perenne, l’abbiamo
sempre fatto nostro, cercando di rispondervi, con l’aiuto di Dio, per quanto è
nelle nostre limitate capacità. E
riteniamo quest’appello ancora del tutto attuale, dal momento che la grave crisi
che da sessanta anni imperversa nella Chiesa, è ben lungi dall’esser superata.
[1] Il presente articolo apparve con lo pseudonimo di “Canonicus”
sul periodico “sì sì no no” , n. 20, novembre 2005, XXXI, pp. 2-4 in occasione
del centenario della nascita di Monsignor Lefebvre (1905-1991). Ho proceduto ad alcuni ritocchi esteriori. Monsignor Lefebvre nacque il 29 novembre 1905,
nel Nord della Francia, a Tourcoing.
[2] SE Mons. Marcel
Lefebvre, Omelia
di Venezia, Chiesa di S. Simeone Piccolo, 7 aprile 1980, in ID., La Crociata di SE Mons. Marcel Lefebvre,
raccolta di tre omelie dello stesso, a cura della FSSPX, s.d., pp. 29-38, pp.
30-34. I testi conservano lo stile
parlato, con qualche ritocco lessicale per l’omelia in italiano.
[3] Omelia
di Venezia, cit., in La Crociata, cit., p. 34.
[4] Giubileo sacerdotale, in La crociata, cit., pp.
4-18. pp. 6-8. Corsivi nostri.
[5] Omelia di Venezia, in op. cit., pp. 35-6. Il
seminario doveva essere chiuso immediatamente.
[6] Vedi: Sì sì no no, I (1975), n. 9: In
merito alla chiusura del Seminario di Écône della Fraternità Sacerdotale di
San Pio X: Illegalità di un procedimento
– iniquità di un provvedimento, pp. 4-5, di Ulpianus. Si trattava
di mons. Arturo de Jorio, giudice del Tribunale della Sacra Rota. La lettera con la quale si sopprimeva con
effetto immediato il seminario, ritirando l’autorizzazione all’esistenza della
FSSPX, era stata preceduta da una convocazione informale a Roma di Mons. Lefebvre di fronte a tre cardinali per un
semplice “scambio di idee”; di fronte ad
una commissione informale (illegale per varie ragioni,
come dimostrava l’articolo, se costituita ed operante come tribunale) che lo
aveva duramente rimproverato per la sua dichiarazione del 21 novembre 1974,
accusandolo, secondo quanto da lui stesso dichiarato, di “voler fare
l’Attanasio” (il vescovo che praticamente da solo aveva iniziato la lotta
contro l’eresia ariana, nel IV secolo, venendo ingiustamente scomunicato per ben
due volte). La lettera di Mons. Mamie
faceva riferimento all’autorità di questa “commissione cardinalizia”, per
giustificare il proprio operato, dichiarando di agire “in pieno accordo” (en plein accord ) con la S. Sede,
dichiarazione che non dimostra, come tale, l’esistenza di un’autorizzazione
specifica (del resto, mai prodotta) conferita, quindi, nelle forme richieste
dal diritto canonico,
[7] Questi dettagli dell’istituto della società di vita in comune senza voti, li abbiamo tratti
principalmente da : A. Bertola, La Costituzione della Chiesa, corso di
diritto canonico, Torino, 1958, 3a ediz. rived. e ampliata; Eichmann-Mörsdorf, Lehrbuch des Kirchenrechts [Manuale
di diritto canonico], 1964, 11a ediz., München, Paderborn, Wien, I
vol, seconda e terza parte.
[8] Bertola, op. cit.,
pp. 240-1. Corsivi nostri.
[9] Op. cit., p. 212.
[10] Eichmann-Mörsdorf, cit.,
p. 493.
[11] Statuts de la Fraternité des
Apôtres de Jésus et Marie ou (selon le titre public) de la Fraternité
Sacerdotale Saint Pie X, pp. V-VI e p. 3 (non numerata).
[12] Per i dettagli dell’ istituto della pia unio, vedi: V. Del Giudice, Nozioni di diritto canonico, Giuffré, Milano, 1970, 12a
ediz. rifatta e aggiornata con la collaborazione del prof. Catalano, pp. 276-9.
[13] Sul punto: Bernard Tissier
de Mallerais, Marcel Lefebvre, une vie,
Clovis, 2002, p. 508. SE Mons. Tissier
de Mallerais, in quest’opera fondamentale per la comprensione della figura di
Mons. Lefebvre, ritiene giuridicamente (anche se non moralmente) legittima la
soppressione della FSSPX da parte di Mons. Mamie: “Le 25 avril en effet, le cardinal Tabera
[uno dei componenti la “commissione cardinalizia” di cui sopra] assure Mgr
Mamie qu’il “possède l’autorité nécessaire pour retirer les actes et
concessions” de son prédécesseur. C’est
bien exact, hélas! La Fraternité,
n’ayant même pas reçu le Nihil
obstat de Rome, n’est pas devenue société de droit diocésain, mais en est
restée au stade préliminaire de pia unio. L’évêque peut donc la dissoudre (cfr. canon
492, § 1-2, et 493) pour une raison grave.
Raison grave, la “declaration” [del 21 novembre 1974 sopra citata] l’est
devant les hommes en place, même si elle ne l’est pas devant Dieu”. Vedi anche
alle pp. 459-460, ove si rivela che il ricorso alla formula della “pia unio” fu
suggerito da autorevoli porporati amici di Mons. Lefebvre. In tal modo,
aggiungiamo noi, si evitava di dover dipendere dall’autorizzazione preventiva
della S. Sede (non richiesta per le pie unioni – c. 708 : sufficit Ordinarii approbatio), presso la quale S. Sede, Mons.
Lefebvre aveva al tempo potenti nemici.
Ma, osserviamo, l’erezione “a titolo di pia unio” non trasformava la FSSPX in una pia unio, non la faceva essere
qualcosa di diverso da ciò che era, si limitava ad appiccicarle un’etichetta
non corrispondente al contenuto, per ragioni di opportunità perfettamente
comprensibili, imposte dalla situazione a chi, nella Gerarchia, a fronte della
grave crisi nella quale si trovavano i seminari investiti dalle “riforme”
promosse dal Vaticano II, si preoccupava
di farne sorgere uno fedele
all’insegnamento tradizionale.
[14] A Rome and Écône Handbook, Q2.
[15] Il testo in Cor
Unum, n. 30, giugno 1988, p. 31.
Corsivi nostri.
[16] Commento al CIC del 1983, a cura di
Mons. Pio Vito Pinto, Pontificia Università Urbaniana, 1985, p. 462.
[17] Le consacrazioni episcopali
di Sua Ecc.za Mons. Lefebvre doverose nonostante il “no” del Papa. Studio teologico, di Hirpinus, Sì sì no no, 1999 (XXV) nn.
1-2; Una
scomunica invalida – uno scisma inesistente.
Riflessioni a dieci anni dalle consacrazioni di Écône. Studio canonico, di Causidicus, ibidem, nn.
3-9.
[18] Un’esposizione
accurata ed imparziale delle vicende che hanno portato alla consacrazione dei
quattro vescovi di Écône, è offerta da Bernard Tissier de Mallerais, op. cit., pp. 557-595.
[19] Omelia
per il Giubileo sacerdotale,
cit., in La crociata. cit., pp. 13-18. Corsivi nostri.
[20] Omelia pasquale tenuta ad Écône
il 6 aprile 1980, in La Crociata, cit.,pp. 22-28, p. 27.
[21] Omelia di Venezia, in op. cit., p. 37.
[22] Mons. Lefebvre, Lettera
aperta ai cattolici perplessi, tr. it. a cura della FSSPX,
Spadarolo-Rimini, 1987, p. 7.
L’originale francese è del 1985.
Corsivi nostri.
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